IL S.S. DALAI LAMA PARLA AI SOCI DELL’ASSOCIAZIONE ITALIA-TIBET

La mattina del 15 ottobre 2006, il Dalai Lama ha ricevuto in udienza privata un folto gruppo di soci dell’Associazione Italia-Tibet. Riportiamo la trascrizione delle sue parole, in risposta alla domanda che il presidente Günther Cologna ha formulato a nome di tutti i presenti.
Domanda

dalai_lama_udienza_15.10.06_-1A nome dei soci dell’Associazione Italia-Tibet desidero anzitutto porgere a Sua Santità un caldo benvenuto e ringraziarLa per averci concesso l’opportunità di questa udienza. Oggi, solo una parte dei soci è presente ma il loro numero è in continuo aumento a riprova che il problema del Tibet è ben radicato nel cuore e nella mente degli italiani. Da diciotto anni ormai sosteniamo le legittime richieste del popolo tibetano attraverso numerose iniziative a livello locale, nazionale e internazionale, molto spesso lavorando in stretto contatto con gli amici tibetani, soprattutto negli ultimi anni, durante la presidenza di Tashi Lama al quale va il mio ringraziamento per il suo lavoro.
Naturalmente il nostro impegno continuerà. Recentemente tuttavia si è manifestato tra i nostri soci un senso di scoraggiamento: i duri attacchi recentemente portati alla persona di Sua Santità dai rappresentanti del Partito Comunista in Tibet, l’uccisione, la scorsa settimana, di alcuni tibetani in fuga dal Tibet verso la libertà, la mancanza di qualsiasi tangibile risultato nei contatti tra i Suoi rappresentanti e le autorità di Pechino sono segnali che la soluzione del problema tibetano non è vicina. Alla luce di queste considerazioni, vorrei chiedere a Sua Santità, a nome di tutti i nostri soci: in quale modo possiamo più efficacemente sostenere la causa tibetana e, in generale, quale dovrebbe essere il ruolo di un gruppo di sostegno?

Queste le parole del Dalai Lama

Voglio esprimere il mio apprezzamento a tutti i nostri sostenitori per il supporto e l’attenzione alla causa del Tibet, soprattutto in questo particolare momento in cui un’antica nazione e la sua peculiare eredità culturale sono a rischio di estinzione. Vi ringrazio ed apprezzo molto il vostro sostegno.
Venendo alla vostra domanda, fin dall’inizio, da quando abbiamo preso la via dell’esilio, il nostro slogan è stato: “Dobbiamo sperare per il meglio ma essere preparati al peggio”. Con questa convinzione, da quasi quarantanove anni, in India, diamo attuazione ai nostri programmi, – abbiamo programmi a lungo termine, programmi di riabilitazione e così via – e il nostro lavoro procede senza sosta, anche da quando abbiamo ripreso i contatti diretti con il governo cinese.
Ma, sapete, noi asiatici, ed in particolare noi tibetani, siamo inclini ad esaltarci al minimo evento positivo e a demoralizzarci subito dopo, appena succede qualcosa di negativo. Non dobbiamo fare così. Per esempio, in questo periodo il governo cinese ha un atteggiamento molto duro e critico nei nostri confronti: qualcuno è arrivato persino a dire che sono un nemico del popolo cinese. In realtà non è vero, ritengo invece di essere buon amico del popolo cinese. Se vogliono dipingermi come un nemico, per me non è un problema, non è il caso di sentirsi avviliti o di provare irritazione. Questi sentimenti hanno origine dalla paura e dall’ignoranza e, da praticante buddista, ritengo siano imputabili non alla nostra ma alla loro errata motivazione, alla loro paura e ignoranza. Per questo motivo non dobbiamo scoraggiarci: è importante essere convinti che maggiore è la sfida, maggiore deve essere la nostra motivazione.
D’altra parte, a suo modo, lo stesso governo cinese, in seguito all’interesse che tutto il mondo rivolge alla questione, dedica oggi una speciale attenzione al problema del Tibet. Per esempio, in passato, quando veniva sollevato il problema dei diritti umani, i cinesi non volevano nemmeno ascoltare, si rifiutavano di affrontare questo argomento. Con il tempo però, a causa del persistere dell’attenzione da parte della comunità internazionale, il loro atteggiamento è cambiato.
È importante quindi che il vostro impegno non venga meno e che sia portato avanti in modo ancora più determinato.

Come ho detto prima ai tibetani, la nostra battaglia non ha per oggetto la restaurazione dei privilegi del Dalai Lama o dei 150.000 tibetani in esilio. Assolutamente non è così. Ci battiamo per la preservazione della nostra nazione e della sua antica eredità culturale. E ci battiamo non solo per sei milioni di tibetani ma anche per la più vasta comunità, milioni e milioni di persone, del territorio asiatico. Questa è la nostra battaglia e, se necessario, dovrà continuare generazione dopo generazione. A questo fine abbiamo dato vita, in esilio, a istituzioni democratiche: tutte le più importanti responsabilità sono ora affidate a leader politici eletti democraticamente, non al Dalai Lama. Se morissi oggi, la lotta tibetana proseguirebbe sotto la guida del governo in esilio, formato da membri eletti.
Allo stesso modo, se necessario, il vostro supporto dovrà durare per secoli! (Ride) Forse voi non sarete vivi…, ma dovete lavorare, oggi, sulle generazioni future e prepararle. Anche tra i tibetani, i più anziani sono ormai partiti…per un altro mondo e nuove generazioni sono subentrate assumendo la piena responsabilità della nostra battaglia nazionale.

Un segnale positivo viene dalla constatazione che ai nostri giorni un numero sempre crescente di cinesi mostrano una maggiore comprensione della realtà tibetana. Una parte sempre più numerosa della popolazione e persino alcuni membri del Partito sostengono la nostra lotta e manifestano rispetto e interesse per la nostra cultura, soprattutto per il Buddismo tibetano. Malgrado le difficoltà, molti cinesi intraprendono il viaggio dalla Cina continentale all’India per seguire i miei insegnamenti. Quando li incontro, vedo lacrime nei loro occhi, sono molto emozionati. Mi è stato inoltre riferito che i miei libri, i testi dei miei insegnamenti, sono illegalmente tradotti in lingua cinese e pubblicati senza fare menzione del mio nome. In Cina sono molto popolari.
Segnali di questo tipo sono molto positivi, sono la base della soluzione, la base della speranza. Non vi è motivo quindi per disperare o scoraggiarsi.

Voglio inoltre dirvi che, così come succede tra i tibetani, vi sono a volte delle divergenze di opinioni tra i gruppi di sostegno. Questo può succedere, fa parte della natura umana. Perfino ai tempi di Buddha, sapete, c’erano alcuni piccoli gruppi di monaci in contrasto tra loro! In questi casi, è importante incontrarsi e discutere in modo franco, senza soffermarsi sulle divergenze personali ma avendo ben chiara nella mente quella che è la causa comune, la questione tibetana. Anche se alcuni vanno da una parte e altri dall’altra, l’interesse di tutti deve essere uno solo, la causa del Tibet. Dappertutto, tra i nostri sostenitori, vi sono punti di vista diversi: in Francia, per esempio, abbiamo numerosi amici ma spesso i rapporti tra loro non sono buoni. Lo stesso avviene anche in Giappone: se incontro un gruppo, gli altri protestano e viceversa! Tutto questo è molto triste e poco propizio: i nostri sostenitori devono lavorare insieme e discutere tra loro in modo amichevole. È importante confrontarsi e discutere in modo franco. Vi ringrazio.