Chicago, 7 Settembre 2008
Thubten Jigme Norbu, il più anziano dei fratelli del Dalai Lama, spentosi la scorsa settimana negli Stati Uniti, ha sempre considerato “non negoziabile” la questione dello status del Tibet. Quando, quattro anni fa, nel corso di un’intervista, gli fu chiesto se condividesse l’idea che i tibetani dovessero rinunciare all’indipendenza a favore dell’autonomia, Norbu, conosciuto anche come Takster Rinpoche, rispose: “ No, non la condivido, ma so anche che dai cinesi non si potrebbe ottenere di più. Lo status del Tibet non deve essere altro che il Tibet. Se non sarà così, nell’arco di due generazioni in Tibet non ci saranno più tibetani. Guardate quello che sta accadendo nella Mongolia Interna: ci sono quattro milioni di mongoli, ma a Khokhot, la capitale, non riuscirete a trovare dieci mongoli tutti assieme”.
Nel 1926, all’età di quattro anni, Norbu fu riconosciuto come la reincarnazione di un importante lama. Imparò a vivere nell’ombra del suo più giovane fratello, senza alcuna rivalità. Visse oltre cinquanta dei suoi novant’anni fuori dal Tibet.
Alcuni passi dell’intervista (a cura di Mayank Chhaya)
D: I cinesi le dissero che se avesse rovesciato il governo del Dalai Lama l’avrebbero eletto alla carica di governatore generale del Tibet.
R: Sì, alcune persone avevano messo in giro questa voce. Venivano da me ogni giorno e mi dicevano le cose più disparate. Criticavano tutto, dalle nostre usanze al nostro abbigliamento. Commentavano negativamente le nostre vesti dicendo che erano uno spreco di tessuto e di denaro. Dicevano che sarebbero stati sufficienti una giacca e un paio di pantaloni.
D: È vero che la spronarono perfino a commettere un fratricidio pur di arrivare a por fine al governo del Dalai Lama?
R: Sì, lo fecero in molti modi. Dissero che avrebbero distrutto tutto ciò che era tibetano, la religione, la cultura, le tradizioni e così via. Dissero che se Sua Santità non avesse collaborato con i comunisti lo avrebbero ucciso.
D: Allora lei riferì le intenzioni cinesi a Sua Santità. Come reagì?
R: Quando incontrai Sua Santità e gli raccontai i propositi dei cinesi, rimase molto calmo. Mosse la sua mano come se stesse scacciando uno spirito maligno. Mi chiese di alzarmi e ci guardammo negli occhi. Dietro le sue spesse lenti colsi solo simpatia e sollecitudine nei miei confronti. Subito dopo mi congedai.
D: Il Dalai Lama esprime ottimismo sulla soluzione della questione nell’arco della sua vita. Anche lei è ottimista?
D: Quale può essere il ruolo dell’India?
R: L’India dovrebbe riconoscere il governo di Sua Santità. È importante, sarebbe di grande aiuto. Se ciò accadesse la situazione cambierebbe, si aprirebbero alcune porte.
D: E quello degli Stati Uniti?
R: Penso che gli Stati Uniti non possano fare molto perché sono interessati ai biglietti verdi (i dollari). A loro non interessano le sofferenze dei tibetani, guardano agli affari.
D: Cosa potrebbe offrire la Cina?
R: Il popolo tibetano deve dire alla Cina di andarsene. Deve reagire.
D: Le piacerebbe visitare Lhasa?
R: No, per quale motivo dovrei visitarla? Ci sono andato nel 1980 e me ne rammarico. Cosa potrei fare lì? I cinesi non ti consentono libertà di movimento. I pochi tibetani che incontri si disperano per la situazione. Sono un essere umano e provo grande dolore.
D: Di che cosa parla con il Dalai Lama?
R: Continuo a ripetere che lo status del Tibet non è negoziabile. Il Tibet è il Tibet.
D: Quali sono le doti più evidenti del Dalai Lama come fratello?
R: Non è egocentrico. Tratta tutte le persone come sue pari. È una cosa facile a dirsi ma non a mettere in pratica. Io so che tutti gli esseri umani sono uguali ma non riesco sempre a comportarmi di conseguenza. Lui ci riesce sempre.
D: Sarà l’ultimo Dalai Lama?
R: Non credo. Dipende da ciò che sarà del Tibet. Se la scelta sarà del Tibet e dei tibetani, sicuramente non sarà l’ultimo Dalai Lama. Se il Tibet esiste, deve esistere anche un Dalai Lama.
Fonte: World Tibet News, 9 settembre 2008
Intervista a cura di Mayank Chhaya, autore di una biografia autorizzata del Dalai Lama.
Traduzione di Vicky Sevegnani