Nel 1950 la Repubblica Popolare Cinese invase il Tibet.
L’invasione e l’occupazione del Tibet costituirono un inequivocabile atto di aggressione e violazione della legge internazionale.
Il Dalai Lama, capo spirituale dei tibetani (avendo devoluto nel maggio 2011 il potere politico al nuovo Primo Ministro), tentò una pacifica convivenza con i cinesi, ma le mire colonialiste della Cina diventarono sempre più evidenti. La sistematica politica di sinizzazione e sottomissione del popolo tibetano segnò l’inizio della repressione cinese cui si contrappose l’insorgere della resistenza popolare. Il 10 Marzo 1959 il risentimento dei tibetani sfociò in un’aperta rivolta nazionale. L’Esercito di Liberazione Popolare stroncò l’insurrezione con estrema brutalità uccidendo, tra il marzo e l’ottobre di quell’anno, nel solo Tibet centrale, più di 87.000 civili. Il Dalai Lama, seguito da circa 100.000 tibetani, fu costretto a fuggire dal Tibet e chiese asilo politico in India dove fu costituito un governo tibetano in esilio fondato su principi democratici. Attualmente, il numero dei rifugiati supera le 135.000 unità e l’afflusso dei profughi che lasciano il paese per sfuggire alle persecuzioni cinesi non conosce sosta.
In Tibet, a dispetto delle severe punizioni, la resistenza continua.
Dominio cinese in Tibet
L’occupazione cinese presenta tutte le caratteristiche del dominio coloniale:
– Oltre 1.000.000 Tibetani sono morti a causa dell’occupazione.
– Il 90% del patrimonio artistico e architettonico tibetano, inclusi circa seimila monumenti tra templi, monasteri e stupa, è stato distrutto.
– La Cina ha depredato il Tibet delle sue enormi ricchezze naturali. Lo scarico dei rifiuti nucleari e la massiccia deforestazione hanno danneggiato in modo irreversibile l’ambiente e il fragile ecosistema del paese.
– In Tibet sono di stanza 500.000 soldati della Repubblica Popolare.
– Il massiccio afflusso di immigrati cinesi sta minacciando la sopravvivenza dell’identità tibetana e ha ridotto la popolazione autoctona a una minoranza all’interno del proprio paese. Mentre prosegue la pratica della sterilizzazione e degli aborti forzati delle donne tibetane, la sistematica politica di discriminazione attuata dalle autorità cinesi ha emarginato la popolazione tibetana in tutti i settori, da quello scolastico a quello religioso e lavorativo.
– Lo sviluppo economico in atto in Tibet arreca benefici quasi esclusivamente ai coloni cinesi e non ai Tibetani.
La violazione dei Diritti Umani
Nel 1959, 1961 e 1965, le Nazioni Unite approvarono tre risoluzioni a favore del Tibet in cui si esprimeva preoccupazione circa la violazione dei diritti umani e si chiedeva “la cessazione di tutto ciò che priva il popolo tibetano dei suoi fondamentali diritti umani e delle libertà, incluso il diritto all’autodeterminazione”. A partire dal 1986, numerose risoluzioni del Congresso degli Stati Uniti, del Parlamento Europeo e di molti parlamenti nazionali hanno deplorato la situazione esistente in Tibet e all’interno della stessa Cina ed esortato il governo cinese al rispetto dei diritti umani e delle libertà democratiche. Malgrado gli incessanti appelli della comunita internazionale:
- il diritto del popolo tibetano alla libertà di parola è sistematicamente violato.
- Miglialia di tibetani sono tuttora impriogionati, torturati e condannati senza processo. Le condizioni carcerarie sono disumane.
- Le donne tibetane sono costrette a subire involontariamente la sterilizzazione e l’aborto.
- I tibetani sono perseguitati per il loro credo religioso.
- Monaci e monache sono costretti a sottostare a sessioni di rieducazione patriottica, a denunciare il Dalai Lama e a dichiarare obbedienza al Partito comunista.
Sostegno internazionale
Nel corso degli anni il problema tibetano è stato oggetto di una crescente attenzione da parte della comunità internazionale. Il Dalai Lama è stato insignito, nel 1989, del Premio Nobel per la Pace ed è stato ricevuto da molti capi di stato. In diversi paesi si sono costituiti gruppi interparlamentari a favore del Tibet, e in 60 paesi, sono attivi oltre 100 gruppi di sostegno. Gli Stati Uniti, l’Austria, l’Australia e l’Unione Europea a più riprese hanno inviato in Tibet delegazioni parlamentari d’inchiesta. In Italia è nato, nel maggio 2002, l’Intergruppo Parlamentare Italia-Tibet che, all’indomani della sua costituzione, ha presentato una risoluzione sul Tibet approvata a larga maggioranza il 9 ottobre 2002.