Quando è iniziato il mio impegno per il Tibet, in Italia c’erano solo quattro o cinque rifugiati tibetani, quasi tutti monaci, e nessuno di loro conosceva una parola d’italiano. Si limitavano a raccontare le vicende subite e sofferte dal loro paese. La loro appassionata testimonianza ci commosse e fu alla base della nostra amicizia e simpatia nei loro confronti. Ora abbiamo una comunità tibetana numericamente importante e ben organizzata, con esponenti che parlano perfettamente la nostra lingua e che fanno del tema politico il loro interesse principale. E’ nostro dovere assisterli, incoraggiarli e renderci disponibili, con le nostre competenze e le nostre risorse, a tutte quelle azioni, iniziative, battaglie, che decideranno di intraprendere nello spirito della non violenza, elemento fondante della lotta dei tibetani.
Non credo che andremo incontro a un periodo facile. Le dimostrazioni del marzo 2008 sono state un segnale inequivocabile dei sentimenti e del coraggio dei tibetani nel Tibet occupato. A dispetto di tutte le previsioni ci hanno fornito la prova provata che non c’è alcuna rassegnazione e abdicazione alla causa della Libertà per il Tibet. Il loro sacrificio e la loro temerarietà nell’affrontare l’occupante cinese sono stati il fattore principale di quell’atmosfera di imbarazzo e, consentitemi, di vergogna che hanno provato tutti coloro che hanno voluto o dovuto partecipare alle Olimpiadi più infami della storia. Sono fermamente convinto che Pechino nel tempo guarderà all’atteggiamento avuto in questo frangente e nei confronti della disponibilità del Dalai Lama come a un’occasione perduta. L’aver intimato al governo indiano di impedire il meeting in corso a Dharamsala è l’ultima ciliegina che il regime cinese ci ha voluto regalare per non farci dimenticare che le possibilità di dialogo, autonomia e riconoscimento dei diritti fondamentali sono meno di zero. E’ con questo “non” interlocutore che ci dobbiamo confrontare.
Oggi tutto il mondo guarda alla Cina. Molti con preoccupazione, altri per il proprio interesse. I più la vedono solo attraverso i prodotti che ogni giorno invadono le nostre case e le nostre strade, inondate da un’ingannevole dovizia di merci a buon mercato. Al di là delle considerazioni di carattere economico, ritengo sia nostro dovere batterci affinché anche il governo di Pechino comprenda l’universalità e l’inalienabilità di quei valori fondamentali di democrazia e libertà alla base della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e sia chiamata a rispettarli da tutte le nazioni che pongono questi valori alla base della loro carta costituzionale.
Colgo l’occasione per ringraziare calorosamente il presidente uscente, Günther Cologna, per il prezioso lavoro svolto nel lungo arco del suo incarico e per aver dato la sua disponibilità a rimanere nel consiglio. Ringrazio i consiglieri uscenti, Marco Vasta, Stefano Dallari e, ancora, Vicky Sevegnani, ed esprimo un caloroso benvenuto alle “new entry” Stefania Marchesini, Luciano Michelozzi e Roberto Pinter. A tutti i soci rinnovo la mia gratitudine per la fiducia accordatami e riaffermo l’impegno ad adoperarmi per la libertà del Tibet, per promuovere l’armonia tra coloro che la sostengono (che il dialogo ci sia, almeno tra di noi…) e per favorire la cooperazione in progetti di sostegno umanitario, culturale e sanitario a beneficio delle comunità tibetane in India e, perché no, spero, anche per i tibetani in Tibet. A tutti, il mio saluto e l’augurio di buon lavoro,
Claudio Cardelli