Testimonianza di un ex prigioniero politico: il Venerabile Thubten Tsering racconta la sua vita

Nel settembre 2002, mentre si trovava a Dharamsala con la delegazione parlamentare dell’Intergruppo Italia-Tibet, il presidente dell’Associazione, Günther Cologna, ha ricevuto dalle mani di Thubten Tsering, ex prigioniero politico, una lettera in cui l’anziano profugo racconta le vicende della sua vita. Con parole toccanti, Thubten ha chiesto che la sua storia fosse divulgata e il suo commovente appello reso pubblico. Sono quattro pagine scritte a mano con grafia minuta, parole semplici che richiamano alla mente cento, mille racconti analoghi, ma ogni volta sempre nuovi, tutti intrisi dello stesso dolore. Con profondo rispetto e partecipazione raccogliamo l’appello di un eroe della resistenza tibetana.


All’età di sette anni entrai nel monastero di Sera e iniziai gli studi monastici. Diventato adulto, dopo aver svolto vari incarichi, fui nominato direttore del complesso monastico. Avevo soltanto trentatré anni quando, nel 1959, la Cina occupò con la forza il Tibet. Determinati a difendere la nostra patria, assieme a un gruppo di sessanta persone creammo un gruppo di resistenza, formato da soli volontari e per tre volte cercammo di contrastare le forze cinesi. Naturalmente i cinesi non solo possedevano armi più moderne e sofisticate ma erano anche molto più numerosi. Subimmo una pesante sconfitta e solo venticinque di noi sopravvissero. Fummo catturati e detenuti per un mese in un campo militare cinese nella contea di Lhundup. Poi fummo temporaneamente rilasciati.

Il Tibet era ormai perduto e i tibetani, sotto il dominio cinese, dovevano affrontare disumane sofferenze. Sotto custodia, tornai a Dhamshag, mio villaggio natale, dove mi resi conto delle intollerabili condizioni di vita della mia famiglia. Provai un dolore talmente forte, a livello sia mentale sia fisico, che mi ammalai seriamente. Tornai immediatamente a Lhasa nella speranza di ricevere migliori cure mediche. Ma anche nella capitale, dove infuriava la Rivoluzione Culturale, regnavano dolore e sofferenza. Decisi di lasciare il paese e tentai la fuga ma sfortunatamente fui catturato, riportato a Lhasa e imprigionato nel centro di detenzione di Gutsa. Dopo essere stato interrogato e brutalmente picchiato, fui accusato di “attività controrivoluzionarie” per avere partecipato all’insurrezione di Lhasa del 1959 e condannato a sette anni di carcere e alla perdita di ogni diritto politico per un periodo di tre anni.

Dopo la sentenza, fui mandato all’ Unità N. 1, presso il Centro di Rieducazione attraverso il Lavoro. Durante i sette anni di prigionia vidi e sperimentai sulla mia stessa pelle le intollerabili condizioni di vita dei detenuti: gli incalzanti interrogatori, le sessioni di rieducazione, le condanne a morte, le torture e ogni altra forma di disumano trattamento tanto che, in queste terribili condizioni, molti miei fratelli e sorelle si suicidarono. Fu il periodo peggiore della storia del Tibet. Scontata la mia pena, fui trattenuto nell’Unità e costretto al lavoro forzato. Nel 1979 fui rilasciato. Nel frattempo, le condizioni di vita all’interno del carcere erano leggermente migliorate e non eravamo più costretti a subire le percosse e i maltrattamenti ai quali eravamo stati sottoposti negli anni precedenti.

Nel 1987 arrivò in Tibet un gruppo di quindici italiani e io li aiutai a documentare e video registrare la situazione esistente nel paese. I cinesi vennero a saperlo e, il 16 dicembre 1987, fui arrestato assieme a Yulo Dawa Tsering e trattenuto per alcuni mesi nella prigione di Sangib dove fui sottoposto a lunghi interrogatori. Fui condannato a sei anni di carcere e privato per altri tre anni dei diritti politici. Yulo Dawa Tsering fu condannato a dieci anni e rinchiuso nella prigione di Drapchi. Sebbene avessi ormai sessantasette anni, fui nuovamente costretto ai lavori forzati. Come tutti gli altri prigionieri politici, ero interrogato assai frequentemente e la mia salute peggiorò senza che potessi ricevere le cure del caso.

Fui rilasciato il 15 dicembre 1995. Mi sentivo molto debole e niente ormai mi teneva legato al mio paese. Non possedevo nulla, volevo vedere Sua Santità il Dalai Lama almeno una volta nella vita e volevo che, nei paesi democratici, le persone amanti della pace conoscessero la realtà della situazione tibetana. Era mio desiderio chiedere al mondo di sostenere moralmente e politicamente i prigionieri politici ancora rinchiusi nelle prigioni cinesi. Cercai nuovamente di fuggire passando attraverso il confine tra il Tibet e il Nepal, ma ancora una volta fui preso e portato prima a Shigatse e poi a Lhasa dove la polizia, molto sospettosa, mi interrogò ripetutamente.

In quegli anni i cinesi avevano lanciato una campagna di “pulizia politica”che imponeva, tra l’altro, la rimozione forzata di tutte le fotografie del Dalai Lama non solo dalle abitazioni private ma anche dai monasteri. Ero molto rattristato e, nel 1996, tentai ancora la fuga, questa volta con successo, e arrivai in India. Da allora, ho avuto modo di vedere il Dalai Lama e di ascoltare le sue preziose parole ma sento ancora forte in me la responsabilità e il desiderio di far conoscere la sorte dei fratelli e delle sorelle rinchiusi nelle prigioni cinesi per essersi battuti per la libertà del Tibet e per la preservazione della propria cultura e religione.

Chiedo perciò a quanti nel mondo amano la pace e la libertà, ai governi e alle nazioni di aiutarci affinché la Cina liberi immediatamente tutti i prigionieri politici che soffrono in carcere. Grazie.

Da Thupten Tsering, un prigioniero politico tibetano
Nato a Umathang, Dhamshang (Tibet) nel 1927