Introduzione

Il Tibet ha sempre attratto un gran numero di viaggiatori. Tuttavia, il suo isolamento geografico e politico fece sì che per lungo tempo solo pochi stranieri varcassero i suoi confini. Anche dopo l’invasione cinese del 1950, il Tibet rimase completamente chiuso. Solo a partire dalla prima metà degli anni ’80 la Cina cominciò a permettere ad un numero limitato di turisti l’ingresso nel paese. Dopo i primi viaggiatori giunti alla spicciolata, il Tibet conobbe un vero e proprio boom turistico: nel 1987, 40.000 persone visitarono la Regione Autonoma Tibetana. Le frontiere del paese furono nuovamente chiuse in seguito alle insurrezioni popolari del 1987 e 1988 e solo nel giugno 1989, cessata l’imposizione della legge marziale, il Tibet fu riaperto al turismo. Secondo le stime del governo cinese, dal 2000 sarebbero entrati in Tibet almeno 60.000 visitatori l’anno, con un introito stagionale di 30 milioni di dollari. Queste cifre sono state ormai abbondantemente superate: nel 2002, il numero dei turisti ha raggiunto le 850.000 unità: 130.000 le presenze straniere e 720.000 i turisti cinesi.
I viaggiatori che, alla fine degli anni ’80, poterono testimoniare la brutale soppressione delle rivolte tibetane ebbero un ruolo importante nella nascita dei movimenti di sostegno in occidente. Tuttavia, il perdurare della repressione solleva una questione morale circa l’opportunità di compiere viaggi in Tibet. Vogliamo cercare di dare una risposta a questo problema e, a seguire, fornire alcuni utili avvertimenti per i viaggiatori.

La questione etica – posso andare in Tibet?
L’incremento del turismo è uno degli obiettivi primari delle autorità della Repubblica Popolare, desiderose di mostrare i vantaggi portati al paese dal regime comunista. I viaggiatori hanno l’opportunità di verificare di persona queste affermazioni, di essere testimoni diretti di quanto sta accadendo ai tibetani nella loro stessa patria sotto l’occupazione cinese e di informare la comunità internazionale sulla reale situazione del paese.
Molte persone, a conoscenza dei guadagni che il governo cinese trae dal turismo, ritengono immorale spendere il loro denaro in Tibet. Ovviamente, alcuni costi (ad esempio quelli relativi ai mezzi di trasporto o ai permessi) non possono essere evitati ma, grazie ad alcuni accorgimenti, il viaggiatore potrà evitare di arricchire eccessivamente le finanze degli occupanti a scapito dei tibetani.
A causa dei rigidi controlli e della difficoltà a ricevere informazioni dall’esterno, molti tibetani non sono a conoscenza del grande interesse con cui la comunità internazionale segue la loro causa e le vicende degli esiliati in India. Se rese note con la dovuta cautela, queste notizie possono contribuire a sollevare il morale della popolazione. Inoltre, per decenni i cinesi hanno denigrato e definito “senza valore” la cultura, la religione e la lingua tibetana. Ora invece i tibetani hanno la possibilità di costatare che gli stranieri, in gran numero, affrontano lunghi viaggi arrivando da terre lontane per visitare i luoghi sacri del Tibet e sono interessati alla cultura e alla lingua del paese. Anche questa testimonianza può aiutarli a credere ancora nei valori e nella validità della propria tradizione.
Fermo restando che la decisione finale sull’opportunità di viaggiare in Tibet è lasciata alla coscienza e alla sensibilità di ogni singolo individuo, riassumiamo brevemente le argomentazioni pro e contro.


Contro
Alcuni ritengono che un viaggio in Tibet legittimi indirettamente l’occupazione cinese. Limitando la libertà di movimento dei visitatori e quanto è loro concesso vedere, la Cina può mostrare al turista disinformato l’immagine di un Tibet pacifico e armonioso. Pechino incoraggia il turismo in Tibet, soprattutto i costosi viaggi dei gruppi organizzati: per sostenere i 7,5 milioni di cinesi immigrati, aggiuntisi ai sei milioni di tibetani autoctoni, il governo, per incrementare l’economia tibetana ha disperatamente bisogno del turismo e dei conseguenti introiti di valuta pregiata.

I visitatori devono essere consapevoli che molto del denaro che spenderanno finirà nelle tasche dei cinesi: i voli verso il Tibet sono organizzati da compagnie aeree di stato cinesi e i proprietari della maggior parte degli hotel sono cinesi. Molti dei maggiori tour-operators, come la China International Travel Service (CITS) e la Chinese Youth Travel Service (CYTS), cooperano con le autorità cinesi. È difficile viaggiare in Tibet senza il consenso tacito del regime cinese.


A favore
Il Dalai Lama ha pubblicamente affermato l’importanza che gli stranieri si facciano testimoni dell’oppressione in atto in Tibet e, al loro rientro, informino l’opinione pubblica della loro esperienza. Attraverso il turismo, i tibetani possono avere forme di contatto con l’occidente e trarne incoraggiamento.Il turismo, per certi aspetti, fornisce una finestra sul mondo esterno e può costituire un primo passo verso una politica più aperta. Inoltre, i resoconti dei viaggiatori possono essere un’importante fonte d’informazione per le organizzazioni di sostegno al di fuori del Tibet.

Tratto da:
“Tourism and Travel in Tibet (Free Tibet Campaign – 1999)
“Briefing paper for Travellers to Tibet” (Centro Tibetano per i Diritti Umani e la Democrazia – 2003)