Ogni anno numerose famiglie tibetane sono costrette a mandare i propri figli in esilio per assicurare loro libertà ed educazione scolastica. Spesso questi genitori affidano i bambini ad estranei e spendono i propri risparmi per assicurare ai figli un passaggio verso la libertà. Alcuni sono solo lattanti e devono essere trasportati attraverso l’Himalaya sulle spalle di un adulto.
Il viaggio dura almeno quattro settimane ed espone gran parte dei bambini al gelo e all’ipotermia, al punto che alcuni muoiono durante il viaggio. Se sopravvivono, ci sono poche possibilità che possano mai rivedere i propri famigliari. Nel 1999, su 2.474 rifugiati in fuga dal Tibet occupato dai cinesi, ben 1.115 erano bambini e ragazzi sotto i 18 anni, pari al 45% di tutti i profughi giunti in India in quell’anno. In maggioranza non erano accompagnati dai genitori, ma erano stati affidati a guide.
Il solo fatto che tante famiglie abbiano preso questa grave decisione, rischiando la vita dei figli e la propria nel caso in cui la fuga sia scoperta dalle autorità cinesi, costituisce una prova sufficiente del fallimento del governo cinese in materia di tutela dei diritti dei bambini in Tibet.
MINORENNI PRIGIONIERI POLITICI
In Tibet i cinesi applicano brutali misure repressive contro ogni espressione di libertà, trattando con uguale durezza adulti e bambini.
Ngawand Sangdrol, che è stata liberata nell’ottobre 2002, fu arrestata la prima volta all’età di 10 anni e incarcerata per 15 giorni. A 13 anni fu imprigionata per nove mesi senza accusa. Nel 1992, a 15 anni, fu arrestata di nuovo per aver preso parte a una dimostrazione e fu condannata a tre anni di carcere. La sua detenzione nel carcere di Drapchi fu prolungata per tre volte.
Esistono prove di detenzione di minorenni in varie prigioni cinesi sul territorio tibetano. Sono detenuti in prigioni per adulti, privi di rappresentanti legali e della possibilità di comunicare con le famiglie. Al pari dei detenuti adulti, sono obbligati a svolgere lavori pesanti e sono sottoposti alle medesime forme di abuso e tortura.
Phuntsok Legmon, 16 anni, il 9 luglio 2000 è stato condannato dalla Corte Popolare Intermedia a tre anni di prigione per una protesta svoltasi il 10 marzo 1999. Al momento è detenuto nella prigione di Drapchi insieme a prigionieri adulti. Legmon e un altro monaco, Namdol, osarono gridare slogan filo-tibetani a Lhasa, in occasione dell’anniversario dell’Insurrezione Nazionale Tibetana. Secondo testimonianze, al momento dell’arresto i monaci furono percossi con pugni e bastonate.
Norzin Wangmo, un’ex monaca del monastero di Shugseb, aveva 16 anni quando fu condannata a cinque anni di carcere, il 13 settembre 1994. Insieme ad altre sette monache, Wangmo aveva dimostrato di fronte al tempio Jokhang a Lhasa. Fu imprigionata per 11 mesi nel centro di detenzione di Gutsa e in quel periodo le fu negato il diritto di ricevere visite di genitori e parenti. “Le guardie carcerarie si tenevano tutti i vestiti e il cibo, rilasciando ricevute fasulle ai membri delle nostre famiglie” ha dichiarato in un’intervista concessa il 27 novembre 1999, al suo arrivo a Dharamsala, in India.
L’alternativa legale di affidare i minori alla sorveglianza dei propri genitori non viene applicata. Senza essere processati, i prigionieri minorenni ricevono spesso un semplice ordine amministrativo di detenzione e vengono inviati a campi di lavoro per scontare la pena.
Nonostante la legge cinese sancisca l’obbligo della separazione dei giovani criminali e indagati dai detenuti adulti, negli ultimi anni numerose testimonianze riferiscono l’assoluta non applicazione di tale norma nelle carceri tibetane. Nessun prigioniero politico minorenne sembra essere mai stato incarcerato in una sezione giovanile o in un centro di detenzione per giovani.
Dopo l’arresto, i giovani vengono abitualmente espulsi da scuole e monasteri e, una volta liberati, hanno difficoltà a trovare un lavoro.
MINORENNI TORTURATI
Detenuti in prigioni per adulti, i bambini vivono in un ambiente in cui la tortura è all’ordine del giorno. Sono costretti a subire le medesime torture e punizioni applicate ai prigionieri politici adulti. Tortura non significa solo tortura fisica, come le percosse o le violenze, ma anche tortura psicologica, come gli interrogatori ripetuti con le stesse domande talvolta per giorni interi senza pause.
Per un giovane, gli effetti psicologici della tortura possono essere particolarmente devastanti. Il periodo di detenzione può sembrare infinito, anche se dura solo un mese, e un bambino spesso non è in grado di elaborare razionalmente i veri motivi della propria incarcerazione.
A soli 15 anni d’età, Sherab Ngawang è la vittima più giovane fra i prigionieri politici che hanno perso la vita in Tibet in seguito alle torture. Sherab era una monaca del monastero di Michungri e venne arrestata il 3 febbraio 1992 per aver dimostrato pacificamente nel Barkhor contro l’occupazione cinese. Fu imprigionata nel carcere di Gutsa per oltre un anno prima di essere processata, condannata a tre anni di reclusione e trasferita alla prigione di Trisam.
Secondo testimonianze, nella notte del 10 agosto 1994 Sherab e altre monache intonarono canti di libertà. Per questo vennero picchiate e torturate con bastoni elettrici e un tubo di plastica pieno di sabbia. Un testimone ha affermato: “La picchiarono fino a quando fu così coperta di ematomi da essere quasi irriconoscibile”. Dopo tre giorni di isolamento, Sherab accusò forti dolori alla schiena, problemi renali, perdita di memoria e difficoltà di alimentazione.
Al rilascio, le sue condizioni di salute erano così gravi che la famiglia la fece ricoverare in vari ospedali di Lhasa. Due mesi dopo, il 7 aprile 1995, Sherab morì.
IL PIÙ GIOVANE PRIGIONIERO DI COSCIENZA
Gedhun Choekyi Nyima aveva solo sei anni quando scomparve da casa il 17 maggio 1995. Solo tre giorni prima il Dalai Lama l’aveva riconosciuto come reincarnazione del decimo Panchen Lama.
Per un anno intero le autorità cinesi negarono la sua incarcerazione. Solo nel maggio 1996 fu ufficialmente dichiarato che il bambino era trattenuto “sotto la protezione del governo su richiesta dei genitori”. I cinesi affermarono che “il bambino correva il rischio di essere rapito dai separatisti e la sua sicurezza era in pericolo”.
Nessun rappresentante governativo, organizzazione umanitaria od osservatore indipendente ha mai ottenuto il permesso di visitare il ragazzo. La Cina continua a respingere le pressioni internazionali per la sua liberazione e da oltre quattro anni persevera in questa palese violazione dei diritti umani.
IL DIRITTO ALL’ISTRUZIONE
Gran parte dei bambini in esilio fuggono dal Tibet per beneficiare del proprio diritto all’istruzione (universalmente riconosciuto) e, in particolare, del diritto ad appendere, nella propria lingua, la loro storia, religione e cultura. Una ricerca condotta nel 1997 dal Centro Tibetano per i Diritti Umani e la Democrazia ha evidenziato che il 90% dei 50 bambini che avevano lasciato il Tibet nei tre anni precedenti, erano fuggiti dal il paese proprio per cercare adeguata istruzione.
La grande maggioranza dei bambini tibetani può frequentare una scuola solo per qualche anno. In seguito sono costretti ad abbandonarla a causa delle tasse scolastiche troppo elevate, della discriminazione a favore di allievi cinesi o semplicemente perché non sono in grado di seguire le lezioni in lingua cinese. Secondo numerose testimonianze, agli studenti tibetani è vietato l’accesso a scuole migliori o istituti superiori perché i posti disponibili sono riservati ad alunni cinesi oppure provenienti da famiglie tibetane che collaborano con il governo di Pechino.
Circa un terzo dei bambini tibetani in età scolare non ricevono alcuna istruzione, mentre per i bambini cinesi la percentuale è limitata all’1,5 %. Il motivo principale per cui un numero così alto di bambini tibetani non frequenta la scuola è il costo proibitivo delle tasse scolastiche imposte dalle autorità.
La Convenzione dei Diritti del Bambino riconosce che lo scopo dell’educazione è di sviluppare le proprie idee o percezioni. Ai bambini tibetani è invece vietato, a scuola, indossare i vestiti tradizionali, osservare le festività del loro paese e, talvolta, anche mangiare il cibo tipico. Spesso a scuola viene implicitamente insegnato che il popolo tibetano è inferiore a quello cinese e che le tradizioni tibetane sono arretrate. Inoltre gli studenti vengono costantemente indottrinati sulla grandezza dei leader comunisti cinesi.
Per qualche tempo, le autorità cinesi hanno collegato la lingua tibetana al nazionalismo. Con la repressione dell’uso della lingua e della conoscenza della cultura e della storia tibetana, il governo di Pechino spera di asservire completamente al regime la prossima generazione di tibetani. Un bambino tibetano ha riferito che alla sua domanda di ulteriori spiegazioni sulla storia del Tibet, “il maestro si è arrabbiato come un matto per la domanda e mi ha picchiato in testa e sulle mani con un bastone”.
Un popolo senza lingua è un popolo senza identità. Vietando la lingua tibetana i cinesi vogliono annientare deliberatamente l’identità tibetana. In ogni caso, la lingua cinese oggi in Tibet è altrettanto importante quanto lo è l’inglese in occidente ed è indispensabile per accedere alla maggior parte dei posti di lavoro, in particolare nelle aree urbane. Tuttavia il cinese dovrebbe essere insegnato come lingua straniera e non come prima lingua, per consentire ai tibetani di raggiungere un sufficiente livello di scioltezza linguistica. Inoltre tutti i tibetani dovrebbero avere il diritto di scegliere la lingua che desiderano apprendere.
I monasteri maschili e femminili sono le sole istituzioni didattiche in cui i bambini possono imparare la lingua, la cultura e la religione tibetana. Ma con la campagna “Colpisci Duro” lanciata dalla Cina nell’aprile 1996, ai bambini e ragazzi al di sotto dei 18 anni è vietato entrare a far parte di istituzioni religiose. Più di 3.000 novizi e novizie d’età inferiore ai 18 anni sono già stati costretti a lasciare i monasteri. Nel solo 1999, il Centro Tibetano per i Diritti Umani e la Democrazia ha constatato l’espulsione dai monasteri di 244 monaci e monache d’età inferiore ai 18 anni.
I bambini sono il futuro di ogni società. In Tibet, allo stato attuale, il futuro non sembra riservare altro che istruzione carente, disoccupazione, perdita d’identità e soppressione di una cultura millenaria.
A cura del Centro Tibetano per i Diritti Umani e la Democrazia – Novembre 2000