La liberazione di Ngawang Sangdrol

Ngawang Sangdrol, una monaca tibetana del monastero femminile di Garu, 5 km a nord di Lhasa, era stata arrestata per la prima volta nel 1990, a 13 anni, per aver gridato slogan indipendentisti. In quell’occasione era stata rilasciata dopo nove mesi perché era troppo giovane per essere processata ma le venne impedito, in quanto ex prigioniera politica, di rientrare nel suo monastero.
Nel 1992 venne arrestata di nuovo per aver partecipato ad una manifestazione indipendentista non violenta, a Lhasa. Questa volta fu processata e condannata a tre anni di reclusione. L’anno successivo, mentre si trovava in detenzione nel carcere di Drapchi, incise di nascosto, assieme ad altre 13 compagne di detenzione, un’audiocassetta con canzoni, poesie e slogan indipendentisti. La cassetta fu poi fatta uscire clandestinamente dal carcere e riprodotta in centinaia di copie fatte circolare per tutto il Tibet. Le quattordici monache furono condannate ad incrementi di pena variabili fra i tre e i nove anni. A Ngawang Sangdrol furono comminati altri sei anni di detenzione, portando la durata della sua condanna a nove anni.
In seguito Ngawang, assieme ad altre detenute, rifiutò di fare le pulizie all’interno del carcere in segno di protesta contro la campagna di rieducazione cui erano state sottoposte affinché riconoscessero l’incarnazione del Panchen Lama indicato dai cinesi. Nel corso di questa protesta aveva infranto alcune regole del regolamento carcerario. Secondo un testimone, che ha chiesto di mantenere l’anonimato, Ngawang e altre tre monache, obbligate a rimanere in piedi sotto la pioggia come punizione per non aver pulito la loro cella, sarebbero state violentemente picchiate da un gruppo di soldati, per aver gridato “TIBET LIBERO”.

Salviamo il Kailash

Obiettivo della campagna era quello di impedire la costruzione di una strada attorno al Kailash, la montagna più sacra del Tibet e chiedere che il Kailash ed il Lago Manasrovar fossero inclusi nei Siti “Patrimonio dell’Umanità”. L’APPELLO Lhasa, 6 settembre 2003 Un occidentale che da anni frequenta la zona del Monte Kailash ha riferito che … Leggi ancora

Appello per la liberazione di Tenzin Delek Rinpoche

 LA NOSTRA SOLIDARIETÀ A TENZIN DELEK E AI TIBETANI CHE SI SONO MOBILITATI PER LA REVISIONE DELLA SENTENZA!

La decisione del governo cinese di commutare la sentenza di morte pronunciata nei confronti di Tenzin Delek Rinpoche nel carcere a vita è stata indubbiamente una vittoria per i tibetani e per le migliaia di persone che, in tutto il mondo, si sono adoperate per salvargli la vita. E’ la prova concreta dell’efficacia della pressione internazionale e la dimostrazione di ciò che possiamo ottenere se ci attiviamo congiuntamente e in grande numero.

Tenzin Delek Rinpoche rimane tuttavia un prigioniero politico, condannato a languire a vita nelle carceri cinesi. Al termine del processo d’appello, Tenzin Delek Rinpoche è stato condannato al carcere a vita. Trasferito dal carcere di Chuandong a quello di Mianyang (nella provincia del Sichuan), sappiamo che le sue condizioni di salute non sono buone: soffre di alta pressione e, a causa delle torture cui è stato sottoposto prima del processo, ha problemi cardiaci e polmonari. Continua a proclamare la sua innocenza.