L’eccezionale dispiegamento di soldati e forze di polizia è un segnale del nervosismo del governo di Pechino per il quale il 2009 sarà un anno particolarmente “sensibile”: il 4 giugno ricorrerà il 20° anniversario del massacro di Piazza Tien an Men E il 1° ottobre saranno celebrati i sessant’anni della fondazione della Repubblica Popolare Cinese.Intervistato da Al Jazeera, un tibetano che ha preferito mantenere l’incognito ha dichiarato che a Lhasa la situazione è “molto, molto brutta”: vi sono militari dappertutto e i pellegrini sono circondati e costretti a fare ritorno alle loro case.Il dottor Lobsang Sangay, un tibetano in esilio ricercatore a Harvard, afferma che Lhasa vive, di fatto, sotto una “legge marziale non dichiarata”. “In questo momento la comunità sociale è segregata, con i tibetani da una parte e i cinesi dall’altra: la tensione è al massimo e persino le persone amiche da lunga data non si parlano”.
Secondo Sangay, ogni eventuale protesta non sarebbe possibile. “I cinesi sono molto attenti alle ricorrenze: anche se venti o trenta tibetani iniziassero a manifestare sarebbero immediatamente circondati e isolati” – ha dichiarato. “In tutto il Tibet, a ogni isolato vi sono soldati armati di AK47”. “Ritengo che i tibetani non potranno far altro che esprimere il proprio malcontento attraverso sporadiche proteste qua e là o attaccando qualche manifesto”.
Woeser, uno scrittore tibetano residente in Cina, concorda con l’analisi di Lobsang Sangay. “Recentemente – afferma – attorno ai più importanti templi di Lhasa, oltre alle normali forze di polizia sono state dislocate alcune unità dell’esercito: ogni tempio è completamente controllato dalle autorità”. “Inoltre – prosegue – ai tibetani provenienti da altre regioni del paese, comprese le province del Quinghai, del Gansu, del Sichuan e dello Yunnan non è stato permesso di compiere pellegrinaggi a Lhasa e nemmeno di recarsi nella capitale per affari”. “Data la strettissima sorveglianza, ogni protesta sarà immediatamente stroncata, non saranno possibili manifestazioni dell’imponenza di quelle passate”. “Ritengo tuttavia – ha aggiunto – che questi rigidi controlli non faranno che accrescere lo scontento dei tibetani e, più avanti nel tempo, assisteremo a nuove manifestazioni di massa”.
Possibili proteste e rivolte in Cina come conseguenza della crisi economica
Il 6 gennaio, il settimanale Liaowang, pubblicato dall’agenzia di stato cinese Xinhua ha ventilato la possibilità di proteste e rivolte in Cina nel corso del 2009 in conseguenza della considerevole diminuzione della crescita economica. A scendere in piazza potrebbero essere soprattutto i milioni di contadini immigrati nelle grandi città in cerca di occupazione e i milioni di laureati disoccupati. “Senza dubbio stiamo entrando in un periodo critico per gli incidenti di massa”, ha dichiarato al settimanale un dirigente di Xinhua. “Nel 2009 la società cinese dovrà affrontare conflitti e scontri interni che metteranno alla prova l’abilità di governo di tutti i livelli del Partito”.