Una gran presa in giro…

di Mariagrazia Liotta
(da www.nokoss.net, 15/01/2009)…a voler essere educati. Quest’articolo, in cui voglio parlare di Tibet, Cina, Diritti umani, potrebbe essere meglio intitolato come “La gran presa per il culo”, perché è né più né meno di quel che è stato. Ma era plausibile, in fondo, che a noi poveri e stupidi idealisti si raccontasse la bella favola del colosso cinese che avendo raggiunto il culmine della fioritura economica, ora avrebbe potuto (avrebbe potuto) mettersi a pensare anche al Welfare e allo Stato Sociale, ai diritti delle minoranze, a una maggiore uguaglianza sociale, in un territorio e per un popolo che hanno un estremo bisogno di queste tre cose: basi di civiltà e valori che dovrebbero essere universalmente condivisi e che avrebbero reso grande la Cina, nell’unico aspetto per cui grande non è.

Si diceva che il grande evento, la celebrazione dei giochi Olimpici, avrebbe acceso i riflettori su un paese che sembrava pronto a compiere grandi progressi sociali, pronto perché uscito quasi del tutto dalla fase in cui versano i “paesi in via di sviluppo” e pronto a diventare una solida potenza: una gran presa di culo, appunto. Le manifestazioni pacifiche dello scorso marzo del popolo tibetano che chiedeva il rispetto della propria identità – che significa conservazione della lingua tibetana, della religione, delle tradizioni, non indipendenza…- sono state sedate nel sangue. Punto.
Osservavo mesi fa lo stato dell’informazione in Cina (non che in Italia si possa gioire, per carità…): BBC e CNN oscurate, Xinhua, la principale agenzia di stampa cinese, pubblicava giorno per giorno notizie false. In compenso si faceva propaganda anti-tibetana, anti-occidentale, per rinsaldare lo spirito di aggregazione del popolo cinese il cui nazionalismo è pronunciato con massimo orgoglio. Bene, se il tam tam dell’opinione pubblica e le lamentele dei giornalisti confluiti in massa per le Olimpiadi, erano riusciti a permettere qualche spiraglio di apertura, oggi si è tornati al caro vecchio buio pesto.

La crisi non esiste, sebbene il governo cinese abbia smesso di acquistare titoli di stato americani per far fronte alla crisi interna dilagante, dovuta anche al fatto che l’export, principale attività delle aziende cinesi è in flessione data l’influenza del calo dei consumi che il resto del mondo sta affrontando. L’informazione è in ottima salute, tant’è che sono stati stanziati 5 miliardi di euro per potenziare la comunicazione Made in China, ed evitare gli scomodi imbarazzi che si sono verificati nel 2008 scorso, e che nel 2009 rischiano di tornare a galla con l’anniversario del massacro di piazza Tienanmen, e il manifesto “Statuto 08” (o Carta 08) che a fine dicembre è stato scritto da un drappello di intellettuali cinesi dissidenti, in cui si condensano brame e aspirazioni di libertà, ma che per ora è solo lettera morta, non avendo avuto eco.

Staremo a vedere cosa succederà in questo 2009 in Oriente, tra arresti di attivisti, condanne e carcere ai dissidenti, arresti di normali cittadini che scendono in strada a manifestare. È auspicabile ma poco credibile la riapertura dei negoziati con il Dalai Lama (attualmente fermi) che vede la sua Lhasa sotto regime marziale e i monasteri circondati dall’esercito…proprio come ai tempi della Rivoluzione Culturale. Staremo a vedere se i lavoratori inizieranno a scioperare per le terribili e subumane condizioni di lavoro, se gli sfollati dei quartieri antichi troveranno giusta compensazione per l’abbandono delle loro case, che ora devono far posto ai grattacieli. Intanto al mercato degli animali di Shangaii, in Tibet Road (…coincidenza) nessuno andrà più a scommettere sulla lotta dei grilli. Ora c’è un grattacielo.

Il fuoco sotto la neve, di Palden Gyatso
Voglio concludere brevemente con qualche riga su questo libro edito da Sperling nel quale si raccolgono le memorie di Palden Gyatso appunto, un monaco che ha vissuto un’esperienza di carcere e tortura trentennale, e che scampato fortunosamente alla morte, ha deciso di raccontare.
Fu arrestato in giovane età, 28 anni, in seguito alla partecipazione a una manifestazione di protesta a Lhasa, e rimase nelle carceri cinesi di diverse città per 32 anni, tra lavori forzati, torture, sevizie, freddo e fame fino al 1992, quando all’età di 60 anni circa tornò a essere libero. Sono tremende le descrizioni dei trattamenti subiti, delle sessioni dei thamzing: stratagemma usato dai carcerieri per controllare e abbattere il morale dei prigionieri, iniziava sempre con una condanna verbale e di solito continuava con solenni bastonate e aveva la peculiarità di non essere condotto dalle guardie, che semplicemente stavano a guardare, ma indotto da queste ultime. In pratica consisteva nel mettere i prigionieri gli uni contro gli altri a suon di minacce, fomentando insulti e rabbia, e sollevando il partito e i suoi funzionari da ogni responsabilità.
Questa testimonianza permette di dare uno sguardo, dalla parte dei prigionieri del regime, agli anni della Rivoluzione Culturale, osservando da vicino i trattamenti riservati ai dissidenti in generale, ma soprattutto ai tibetani, sui quali il Partito Comunista non era disposto (né lo è oggi) a cedere di un passo: in specie sulla questione dell’indipendenza, che allora era ancora tra le alternative possibili dato che il Tibet era appena stato invaso, e sulla questione della libertà religiosa, oggi ancora attuale.
Non aspettò la risposta. Staccò il bastone dalla presa e cominciò a premermi sulla carne quel nuovo giocattolo e il mio corpo sussultava a ogni scossa. Poi, urlando oscenità, mi caccio il bastone in bocca, lo tolse, menò un altro colpo. Tornò alla parete e scelse un bastone più lungo. Sentii che il mio corpo di spezzava a metà”.Palden Gyatso uscì dal carcere e dopo la sua fuga incontrò il Dalai Lama che lo convinse a raccontare la sua storia. Dopo che la stampa divulgò i particolari della sua fuga venne adottato come prigioniero politico da Amnesty International. Nel 1995 testimoniò a Ginevra davanti alla Commissione per i diritti umani dell’ONU, e in quell’occasione tenne un commovente discorso a nome proprio e di tutti i tibetani. La delegazione cinese non rispose mai in modo ufficiale, ma l’ambasciatore cinese in Gran Bretagna, Ma Yuzhen, dichiarò a un giornale che “Palden Gyatso è un criminale che ha perpetrato attività antigovernative. I reati da lui commessi comprendono operazioni rivolte a rovesciare il governo, evasione dal carcere e furto. La storia di Palden Gyatso sulle torture da lui subite per mano delle guardie carcerarie è falsa. Nelle prigioni cinesi la tortura è proibita”.
“Gli oppressori negheranno sempre di essere stati oppressori. Tutto ciò che posso fare è rendere testimonianza di quanto ho visto e vissuto e narrare il tragico viaggio della mia vita. La nostra sofferenza è scritta nelle vallate e nelle montagne del Tibet. Ogni villaggio e ogni monastero nel Paese delle Nevi può raccontare storie di crudeltà inflitte al nostro popolo. E tutte queste sofferenze continueranno finchè il Tibet non tornerà libero
” (Palden Gyatso).