La protesta di Amnesty International e di Human Rights Watch
di Marco Del Corona
(Corriere della Sera – 22 febbraio 2009)
Non è la stessa Cina e non è la stessa Clinton. Nel 1995 Hillary era la first lady e accompagnava il marito qui festeggiatissimo, il mondo seguiva un’altra orbita. Oggi la stessa Hillary viaggia come Segretario di Stato e la Cina è un partner di cui l’America ha disperato bisogno. “La nostra collaborazione su temi come l’economia e il clima è obbligatoria”, gli USA “apprezzano grandemente la fiducia nei buoni del Tesoro” statunitensi e “le nostre relazioni vanno approfondite e allargate”: sono queste le parole che Hillary Clinton ha dedicato al Paese dov’era atterrata venerdì sera, ultima tappa di un viaggio in quattro tappe, cominciato in Giappone e proseguito in Indonesia e Corea del Sud. Un omaggio e un annuncio programmatico che completa la decisione, già di per sé simbolicamente forte, di avviare il mandato da segretario di Stato con un viaggio in Asia e non attraverso l’Atlantico. Non accadeva da decenni, ma sono i tempi che lo pretendono. E il vertice tra i presidenti Barak Obama e Hu Jintao a Londra, in occasione del G20 di aprile sancirà la linea della collaborazione che la Clinton è venuta a proporre.
Quello con Hu Jintao è stato il terzo incontro in agenda ieri, preceduto dalle conversazioni con il ministro degli Esteri, Yang Jiechi, e con il premier Wen Jiabao, che ha parlato di due Paesi che “devono tenersi per mano”, un’espressione che riecheggia la speranza della Clinton: “Abbiamo tutti i motivi per credere che Usa e Cina si riprenderanno e che insieme aiuteranno il mondo a riprendersi”. È la crisi economica a dominare pensieri e promesse di collaborazione, accanto al tema del controllo delle emissioni, come ha dimostrato la visita di Hillary a una centrale energetica ecologica realizzata con tecnologia americana (General Electric). “Speriamo che voi non facciate gli errori che abbiamo fatto noi” ha commentato.
L’economia. L’ambiente. La sicurezza, con l’avvio di un dialogo strategico che comporti il coinvolgimento più stretto della Cina sui dossier chiave: vedi l’Afghanistan (ma anche il Sudan e la Birmania) e i programmi nucleari di Iran e Corea del Nord, che sono crisi croniche. Su Pyongyang, tra l’altro, il segretario di Stato aveva parlato a Seul, ponendo al Nord la precondizione della fine degli atteggiamenti aggressivi nei confronti del Sud. Per trovare una piena adesione con Pechino sull’agenda più importante, la Clinton ha deliberatamente messo in second’ordine i temi che dividono e che comunque assicura di avere sollevato con i suoi interlocutori: il Tibet, i diritti umani, Taiwan. Cosa che ha provocato la reazione di Amnesty International e di Human Rights Watch. Se per la Clinton la questione dei diritti umani “non deve interferire” con altri argomenti di cooperazione con la Cina, Amnesty si è detta “scioccata” ed “estremamente delusa” dalle affermazioni del segretario di stato perché gli Usa “sono uno dei pochi Paesi che possono tenere testa alla Cina in materia di diritti”.
“Quest’atteggiamento risponde a una necessità e corrisponde a una tendenza della società statunitense” dice al Corriere Shi Yinhong, direttore del centro di studi americani dell’Università del Popolo. Quanto ai diritti umani “è un tema su cui Washington toprna volentieri. Non mi stupirei se in futuro gli Usa ricominciassero a utilizzarlo strumentalmente contro Pechino. Dipenderà dalle circostanze, anche se su alcuni argomenti per ora messi da parte è interesse anche della Cina parlare, prima o poi: mi riferisco a Taiwan. Per ora prevale l’urgenza di avere una Cina aperta, di lavorare con lei anche per l’Iran e la Nord Corea, di avviare una collaborazione proficua”. Per usare le parole della Clinton: “L’insistenza su tali questioni non deve interferire con la crisi globale, la crisi climatica e le crisi della sicurezza”.
Marco Del Corona