Lhasa, 14 marzo 2009. Nella ricorrenza del 14 marzo, primo anniversario della rivolta che lo scorso anno ha infiammato tutto il Tibet, le forze di sicurezza cinesi stanno dando la caccia a “elementi sospetti” compiendo minuziose perquisizioni casa per casa. Il quotidiano South China Morning Post riferisce che, a Lhasa, la polizia ha controllato “ogni albergo, pensione e abitazione”.
La città è stata chiusa non solo agli occidentali e ai tibetani residenti nelle regioni al di fuori della Regione Autonoma, ma anche ai cittadini di Hong Kong, Macao e Taiwan. I proprietari di alberghi e ristoranti riferiscono che la polizia ha interrogato e persino arrestato tutti coloro la cui identità non è stata accertata dalle autorità locali.Il giornale riferisce inoltre che i principali monasteri sono strettamente sorvegliati e che la polizia vigila notte e giorno. Blocchi stradali e postazioni di controllo sono stati istituiti in ogni parte della città. Un tibetano ha affermato che la polizia ha ispezionato tutti i tetti nella via del Barkhor, nei pressi del Jokhang. “Vogliono essere certi che la gente non abbia nascosto pietre, sassi, mattoni o altri tipi di armi”, ha dichiarato.Contemporaneamente la Cina ha dato inizio a una vasta campagna propagandistica volta a evidenziare le benefiche conseguenze della sua presenza in Tibet. Il People’s Daily, organo del Partito comunista, ha affermato che, prima dell’arrivo dei cinesi, tre quarti dei tibetani erano costretti a “mangiare erbacce” e che il Dalai Lama, durante le cerimonie religiose, faceva uso di teschi e sangue.
(Phayul – The Telegraph)