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di Claudio Tecchio
Come auspicavamo la resistenza tibetana ha compiuto un grande salto di qualità organizzando lo sciopero ad oltranza dei contadini nelle province orientali. Ai giovani tibetani dei ghetti di Lhasa ,ai religiosi in rivolta in tutti i principali monasteri oggi si uniscono migliaia di agricoltori poveri che hanno saputo dare vita ad una straordinaria mobilitazione contro l’occupante. Per la prima volta nella storia del Tibet i lavoratori della terra sono scesi in sciopero assumendo,di fatto,la guida del movimento insurrezionale ;uno “sciopero politico” che rivendica la liberazione di tutti gli arrestati ed il ritiro delle truppe di occupazione. Anche gli studenti tibetani ,che avevano già dato prova della loro determinazione sfidando nel cuore dell’impero i reparti speciali cinesi,sono tornati nei giorni scorsi a manifestare chiedendo “democrazia e libertà”. La lotta quindi si estende e la resistenza trae nuova linfa dall’impegno di una generazione di tibetani finalmente decisi a battersi in prima persona contro il regime coloniale cinese.Sappiamo che lo sciopero iniziato ai primi di Marzo è ancora in corso nei villaggi di Jiwariwa, Dragan, Tsanbha, Ambha, Godha, Dhotrengdha, Ketreng, Jodha, Washul, Gazi, Shilu, Nguldha, Thartse, Bhothang, Khathang, Rongsum. Nonostante una repressione feroce (sono oltre cento i giovani contadini arrestati e torturati dalla polizia politica comunista nelle ultime settimane) e ben consci del fatto che se anche riusciranno a sfuggire all’arresto dovranno affrontare indicibili rinunce per via del raccolto ormai compromesso, gli agricoltori non danno segni di cedimento e con la loro tranquilla determinazione suscitano ammirazione e spingono altri contadini ad emulare la loro lotta nonviolenta. E a nulla sono valsi gli appelli dei commissari politici comunisti e dei collaborazionisti, dentro e fuori del Tibet, per fermare la lotta. Si gettano così finalmente le basi per la creazione di una opposizione sociale che sarà vittoriosa nella misura in cui saprà dare vita ad un grande sindacato libero di tutti i lavoratori e le lavoratrici del Tibet.Non è irrealistico pensare che la protesta dei contadini tibetani possa ora saldarsi con la ribellione dei contadini cinesi che si vedono “espropriare” la terra dai funzionari di partito e ogni giorno si scontrano con gli apparati repressivi del regime. Inoltre è bene ricordare che nei mesi scorsi milioni di migranti sono tornati ai loro villaggi dopo essere stati espulsi dalle aziende in crisi e senza le loro rimesse intere comunità rurali non avranno più di che sostenersi. Questo esercito industriale di riserva in rotta non ha più alcuna speranza di trovare una nuova occupazione nelle campagne impoverite e, senza reddito e senza tutele, potrebbe anche decidere che è giunto il momento della resa dei conti con il regime.
Mentre i gerarchi di Pechino pateticamente celebrano le “conquiste del proletariato” dalle campagne tibetane e cinesi potrebbe quindi partire la “lunga marcia”verso la libertà e la giustizia sociale.
Claudio Tecchio
9 maggio 2009
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