Dharamsala, 12 maggio 2009. Accolti come eroi, sono arrivati a Dharamsala cinque monaci tibetani che parteciparono alle proteste dello scorso anno in Tibet. Due di loro, Gedhun Gyatso e Kelsang Jimpa furono tra gli organizzatori della manifestazione pacifica avvenuta il 14 marzo del 2008 a Labrang, nella Contea di Sangchu, provincia di Gansu. Gli altri tre, Jamyang Jinpa, Lobsang Gyatso e Jigme Gyatso, facevano parte del gruppo di quindici monaci che, il 9 aprile 2008, colsero l’occasione della visita di un gruppo di giornalisti al monastero di Labrang (visita organizzata dalle autorità cinesi) per gridare, davanti alle telecamere, il loro desiderio di libertà e denunciare i soprusi perpetrati da Pechino.
Le immagini della protesta di quei giorni al sito:
http://shanghaiist.com/2008/04/10/china_organises.phpNel corso di una conferenza stampa (nella foto), i monaci hanno parlato diffusamente delle proteste. “Quanto sta avvenendo dallo scorso anno è la conseguenza spontanea del profondo risentimento che il popolo cinese ha accumulato nei confronti del governo cinese”, ha dichiarato Gedhun Gyatso. “Nessuno ci ha detto di protestare, è stata la situazione che ci ha spinto nelle strade, non potevamo stare a guardare mentre a Lhasa e in altre località del Tibet le pacifiche proteste dei tibetani erano brutalmente represse”.“Da una trasmissione di Radio Free Asia abbiamo appreso che una delegazione di giornalisti stranieri sarebbe arrivata al monastero di Labrang e alcuni di noi hanno immediatamente pensato che sarebbe stata un’ottima occasione per parlare al mondo”, ha detto Jamyang Jimpa. “Abbiamo chiesto il ritorno del Dalai Lama e abbiamo gridato che in Tibet non vi è rispetto per i diritti umani e la libertà”.
Nonostante ora siano in salvo, i monaci non si sentono però sollevati. “Il pensiero dei nostri compatrioti, di quanti in Tibet stanno ancora soffrendo, ci fa stare male”, ha affermato Gyatso. “Ci è di conforto il pensiero di poter incontrare il Dalai Lama”.
I cinque monaci hanno raccontato che subito dopo aver partecipato alle manifestazioni sono fuggiti, separatamente, sulle colline attorno al monastero e, per più di un anno, hanno continuato a muoversi, cambiando il loro rifugio, per evitare l’arresto.
Giunti finalmente in Nepal, si sono affrettati a raggiungere l’India temendo di essere respinti in Tibet dalle autorità nepalesi.