Appello per la cessazione di tutte le sentenze capitali

27 ottobre 2009. Mentre ancora non è accertato il numero esatto dei tibetani uccisi a Lhasa (i giorni scorsi era circolata la voce che le persone fucilate fossero quattro), il portavoce del Ministero degli Esteri cinese, Ma Zhaoxu, ha confermato la notizia dell’esecuzione di due tibetani. Si tratta di Lobsang Gyaltsen, ventisette anni, di Lhasa, e di Loyak, venticinque anni, di Tashi Khang, Shol Township, periferia della capitale tibetana.
La notizia è stata confermata anche dal Ministero degli Esteri britannico. Il 23 ottobre, alcuni funzionari ministeriali hanno preso contatto con l’ambasciata cinese a Londra che ha dato conferma del numero e delle generalità dei due tibetani uccisi. L’ambasciata cinese ha smentito l’uccisione di altri due prigionieri politici definendo genericamente “voci” le notizie circolate in questi giorni.Secondo un comunicato diffuso il giorno 8 aprile 2009 dall’agenzia di stato Xinhua, Lobsang Gyaltsen era stato condannato a morte per aver appiccato il fuoco a un negozio, a Lhasa, durante le manifestazioni del marzo 2008, provocando la morte del proprietario. A Loyak era stata sentenziata la stessa pena per aver incendiato un negozio di motociclette e provocato la morte di cinque persone. Radio Free Asia riferisce che, prima di morire, è stato concesso a Lobsang Gyaltsen di vedere sua madre. Queste le sue ultime parole: “Non ho nulla da dire se non, per favore, abbi cura di mio figlio e fallo andare a scuola”.
Rimane incerta l’identità delle altre due persone che si teme possano essere state fucilate o la cui esecuzione potrebbe essere prossima. Nell’aprile 2009 tre tibetani sono stati condannati a morte con sospensione della pena per due anni: Gangtsu, Tenzin Phuntsog e Lobsang Gyaltsen. Il 21 aprile l’agenzia Xinhua ha dato notizia della condanna a morte di Penkyi, ventuno anni, una donna tibetana di Sakya, la cui esecuzione, anche in questo caso, è stata sospesa per due anni, e della condanna all’ergastolo di un’altra tibetana con lo stesso nome, Penkyi, da Nyemo. A Chime Lhamo, abitante a Namling, sono stati inflitti dieci anni di carcere.In un comunicato diffuso dall’agenzia Reuters, Ma Zhaoxu afferma che “tutti i diritti dei condannati sono stati rispettati”. Non è tuttavia possibile verificare l’autenticità di questa affermazione. Queste esecuzioni sono di natura politica e vi sono buoni motivi per ritenere che i processi non siano stati condotti secondo giustizia.
AZIONE URGENTEInvitiamo i nostri amici e lettori ad aderire all’azione urgente lanciata da International Tibet Support Network sottoscrivendo la lettera on line che sarà automaticamente inviata al Ministro della Giustizia cinese Wu Aiying. Nella lettera si chiede:

  • La cessazione immediata dell’esecuzione di tutte le sentenze capitali
  • La commutazione delle condanne a morte già pronunciate
  • Processi pubblici e secondo giustizia
  • La sospensione dei processi connessi con i fatti dei mesi di marzo e aprile 2008 fino a quando non sarà condotta un’inchiesta da parte di organismi indipendenti in rapporto a quegli eventi
  • Una lista dei nomi e dei luoghi di detenzione dei 1200 tibetani ancora in carcere
  • La cessazione delle torture inflitte ai prigionieri e la possibilità che sia loro concesso di ricevere le visite dei famigliari e degli avvocati nonché di ricevere le eventuali, necessarie cure mediche

 

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Grazie per la vostra collaborazione.