di Wei Jingsheng
New York, 20 novembre 2009 (AsiaNews) – Il fatto più importante avvenuto la scorsa settimana è stata la visita del presidente americano Barack Obama in Cina, forse perché tutti noi avevamo riposto grandi aspettative sul viaggio. La popolazione cinese, interna ed emigrata, aveva sperato che Obama avrebbe fatto qualcosa per i diritti umani in Cina. Da quando Hu Jintao è salito al potere, la situazione dei diritti umani nel Paese è peggiorata. Molte persone sono state arrestate, chiuse in galera e hanno subito una violazione. Chi è fuori di galera, inoltre, subisce molta più pressione rispetto al passato: siamo arrivati al punto che è difficile respirare. Il regime comunista cinese controlla i media, blocca internet e limita la libertà d’espressione. La stessa popolazione cinese vorrebbe più che mai che il presidente americano l’aiuti a ridurre la pressione. In passato, infatti, le pressioni esercitate da Washington hanno avuto i loro effetti: Pechino ha paura della diplomazia americana basata sui diritti umani. Oggi sembra invece che agli americani interessi soltanto il tasso di cambio fra il dollaro e lo yuan. Questo, infatti, sarebbe la chiave per ridurre il deficit commerciale.
Yuan contro dollaro
Anche dieci anni fa, molti americani già sapevano che un sistema di commercio ingiusto avrebbe ampliato il deficit creando disoccupazione. Ma alcuni politici, che sono emersi grazie al sostegno delle multinazionali, hanno cambiato il modo di vedere l’America dal punto di vista cinese. A quei tempi, gli americani avevano ancora una bella vita, con un deficit inferiore ai 57 miliardi di dollari. In fin dei conti, dobbiamo rispettare la legge e il sistema democratico. Ma ora, l’economia americana si è deteriorata con una disoccupazione crescente e depressione commerciale ad ogni angolo. Il deficit commerciale fra Usa e Cina è arrivato alla cifra record di oltre 268 miliardi di dollari. Molti americani sanno che questo è dovuto al fatto che il governo cinese manipola l’attuale tasso di cambio, e che questo va ad aggiungersi a un ingiusto sistema commerciale. Come ha detto il senatore americano Charles Schumer, “l’intera crisi economica è partita con la manipolazione, da parte di Pechino, della propria valuta. Se non risolviamo questo problema, è inutile affrontare gli altri”. E quindi, il presidente Obama non ha portato niente dalla Cina. Il londinese Times oggi titola: “Un ritorno a mani vuote per il leader Usa”. E questo è un risultato che nessuno si aspettava. Quando i consulenti strategici della Casa Bianca hanno fissato i punti importanti per Obama, sentivano che queste questioni centrali non avevano speranze. E quindi hanno lasciato una serie di argomenti vuoti di cui parlare: inquinamento, truppe in Afghanistan per arrivare alla questione nucleare iraniana. Non volevano neanche che la Cina esprimesse punti sostanziali, su questi argomenti: bastava sapere la loro opinione sui vari fatti. Il presidente Obama non ha fatto neanche il minimo indispensabile. Dal punto di vista dei diritti umani, il leader democratico non ha neanche chiesto il rilascio dei prigionieri politici. Da qualunque punto lo si guardi, Hu Jintao non ha nemmeno voluto salvare la faccia al proprio ospite, solo per dimostrare come tutto fosse tempo sprecato. A confronto di un paio di ultime amministrazioni americane non proprio così vincenti, sembra che Obama sia stato il peggiore dal punto di vista del rapporto con la Cina. Senza parlare dei media conservatori, si può notare come persino i giornali di sinistra abbiano criticato il presidente per non aver fatto nulla nel campo del deficit commerciale. Il Washington Post arriva a rileggere il patto di commercio permanente firmato da Bill Clinton con la Cina, per poi spiegare in dettaglio come siano stati politici e industriali a vendere l’America. Se avessimo letto queste parole in passato, avremmo pensato di avere davanti un giornale repubblicano.
L’amministrazione Usa non conosce la Cina
Ma perché il presidente Obama, che pronuncia in Europa dei discorsi così popolari, ha fallito così tanto in Cina? Potremmo dare una lista di ragioni, ma basta qui spiegare due punti di fondo. Il primo è che i suoi consiglieri non conoscono né i cinesi, né la Cina. E quindi pensano di avere a che fare con una nazione democratica. La diplomazia fra le nazioni democratiche è una diplomazia fra gentiluomini. Se dai un segnale di correttezza, l’altro fa lo stesso. Potremmo usare un modo di dire comune per descriverla: “La diplomazia cooperativa è fatta di compromessi e benefici mutui”. In ogni caso, se mai ascolterete un presidente americano definire i comunisti cinesi come partner cooperativi, sappiate che non sa nulla del Partito comunista. Anche quei diplomatici che parlano bene il cinese non sanno che questa “cooperazione” è un errore concettuale. La logica del Partito si basa su una “filosofia di duri tentativi” che recita: “Quando il nemico si ritira, noi dobbiamo invadere”. Se fai un passo indietro, vieni travolto. In una trattativa con il Partito comunista cinese, è totalmente sbagliato praticare uno spirito di compromesso e cooperazione, come fanno le nazioni democratiche occidentali. E così, se analizziamo il modo in cui Obama ha fatto offerte alla Cina prima della sua visita, possiamo dire che questa è stata un totale fallimento.
Il “big business” sconfigge l’America
La seconda, importante ragione per il fallimento di questo incontro è data dagli impedimenti posti dalla comunità commerciale. Il più grande beneficiario del deficit commerciale in Cina e della disoccupazione in America è il “big business”, sia in Usa che in Cina. Da molti anni, questi tipi di affari hanno volontariamente difeso gli interessi del Partito comunista cinese. Nelle questioni che riguardano la bilancia commerciale e la manipolazione della valuta, infatti, condividono fra loro gli stessi interessi. Soltanto dieci anni fa erano già abili a manipolare sia il Congresso che l’amministrazione americane, al punto che questi vanno contro la maggioranza dei propri elettori. Anche con il prerequisito di non potersi nascondere al pubblico, sono stati abili a far approvare una risoluzione (che la maggioranza dei votanti aveva già rifiutato) per offrire un patto di libero commercio unilaterale con la Cina. Ora, i loro benefici sono già 4 o 5 volte di più attaccati al business, così che gli elettori hanno ancora meno potere nei loro confronti. Persino il presidente Obama ha difficoltà ad andare contro i desideri degli affaristi. E per questo motivo, il presidente ha dovuto inchinarsi davanti ai comunisti cinesi. Di conseguenza, la relazione fra Cina e Stati Uniti non si basa soltanto sull’economia, così come non si basa soltanto sui diritti umani. Sia Hitler che Stalin non furono in grado di sciogliere il sistema democratico occidentale, e ora il Partito comunista cinese cerca di realizzare il desiderio di Lenin: fare in modo che “l’imperialismo americano” sia l’ultimo stadio del capitalismo. Va detto che, fino ad ora, sembra aver avuto successo. Ed è per questo che l’ultima visita in Cina di un presidente americano ha ricevuto così tanta attenzione dalla popolazione: questi non si curano soltanto di scambi commerciali e disoccupazione. La gente è preoccupata dal fatto che l’America possa essere sconfitta dalla Cina.
* Chi è Wei Jingshen
Wei ha una lunga storia nel campo dei diritti umani e della democrazia in Cina. Il 5 aprile 1976, a 26 anni, partecipa al primo moto antigovernativo che scoppia in piazza Tiananmen. Due anni dopo appare, nei pressi di uno dei principali incroci della capitale, il Muro della Democrazia: un angolo di muro dove sono affissi i dazibao della contestazione democratica. Il 5 dicembre 1978 affigge il testo che lo renderà celebre – “La Quinta Modernizzazione” – dove sviluppa l’idea che il progresso economico del paese (le “quattro modernizzazioni” esaltate dal regime comunista) deve passare attraverso la democratizzazione del sistema, senza la quale il popolo non avrà alcun beneficio. Wei denuncia la detenzione per motivi politici, la miseria di una parte della popolazione, le origini politiche della delinquenza giovanile, la vendita di bambini per le strade di Pechino. Dal ’79 al ’93 è tenuto in prigione per volere di Deng Xiaoping. Dopo il rilascio, il primo aprile 1994 viene fatto sparire insieme alla sua compagna. Il 13 dicembre 1995, un anno e mezzo dopo il nuovo arresto, Wei riappare davanti alla Corte popolare di Pechino e condannato a 14 anni di prigione per “aver complottato contro il governo”. Il 16 novembre 1997 è stato scarcerato dalle autorità cinesi dopo fortissime pressioni da parte della comunità internazionali e mandato all’estero per “cure”, ma in realtà condannato all’esilio. Al momento vive negli Stati Uniti ed è il presidente del Comitato oltreoceano del Movimento “Democratic China”.