Attivisti per i diritti umani temono per la vita dei venti rifugiati, se essi torneranno in Cina. Amy Reger, ricercatrice alla Uighur American Association di Washington, spiega che “molto probabilmente verranno torturati, e forse condannati a morte”. L’attivista ricorda il caso di Shaheer Ali, fuggito in Nepal nel 2000 e considerato un rifugiato politico dall’Onu. Rimpatriato in Cina nel 2002, egli è stato giustiziato un anno più tardi.
Il 5 luglio del 2009 alcune manifestazioni pacifiche di protesta di uiguri a Urumqi, nate dalla decisione presa da Pechino di chiudere con la forza il bazar musulmano, sono degenerate in scontri etnici fra la popolazione musulmana e i cinesi han. Nel corso degli scontri sono morte 200 persone, e altre 1.600 hanno riportato ferite di vario tipo. Polizia ed esercito hanno represso le tensioni facendo migliaia di arresti.
Pechino ha già comminato 12 condanne a morte contro i presunti autori della rivolta. Gli uiguri accusano gli han di averli colonizzati, avendo occupato tutte le leve nel commercio e nell’amministrazione pubblica. Questi impediscono alla popolazione di godere dei diritti civili e della libertà religiosa, anche in nome della lotta al terrorismo islamico.