Google sfida la Cina: “Non accetteremo più nessuna autocensura”

di Marco Del Corona
(Corriere della Sera – 14 gennaio 2010)

Tutti adesso cercano informazioni: il Segretario di stato americano, Hillary Clinton, chiede delucidazioni alla Cina e la Cina, attraverso l’agenzia Xinhua, chiede lumi a Google. Tutti intorno al gigante del web che in Cina tanto gigante non è (ha solo il 12% del mercato dei motori di ricerca) ma sul piano globale sì, tutti a tentare di capire cosa succederà dopo l’annuncio dei suoi dirigenti americani. Google, infatti, ha spiegato che Haker cinesi in dicembre hanno violato il suo sistema e sono entrati in diversi account di posta elettronica in modo “sofisticato e mirato”. Non indirizzi qualsiasi, ma di attivi visti per i diritti umani, in Cina e no. Stessa sorte avrebbero subito una trentina di aziende. Ne deriva che il motore di ricerca nella sua edizione cinese smetterà di fornire contenuti autocensurati, “anche se questo potrebbe certo significare la fine di Google.cn e potenzialmente la chiusura dei nostri uffici in Cina”. Nel dubbio, dalla Casa Bianca un appoggio indiretto ma chiaro: “Sosteniamo un Internet libero”. Davanti all’edificio che ospita Google Cina, accanto all’Università Tsinghua, ieri alcuni sono andati a rendere omaggio alla mossa che Human Rights in China ha definito “una sveglia per la comunità internazionale sui rischi del fare affari con la Cina” e che per Human Rights Watch è “un grande esempio”. Inchini e fiori. L’intimazione di una guardia (“questa consegna di fiori è illegale”) è già un tormentone sul web. Nel corso della giornata, quasi ad amplificare il senso della presa di posizione di Google, i commenti sui forum on line sono stati cancellati.

Il messaggio implicito è che gli haker di dicembre siano, se non organici al potere cinese, contigui. Sembra un riscatto postumo per Google, perché quando avviò le sue operazioni in Cina aveva dovuto chinare il capo – come altri, vedi Yahoo! e Microsoft – e accettare il regime censorio. Festeggia il concorrente Baudu.com, che detiene il 77% del mercato e ha visto le sue azioni impennarsi a New York (più del 7% con un più 12% a inizio giornata) a fronte del calo di Google dell’1.3%. Ma quella del gesto coraggioso, capace di scatenare un dibattito sui dilemmi etici del business in Cina e di complicare i delicati rapporti tra l’America obamiana e la Cina, non è la sola chiave di lettura.

La manager Tang Jun, un guru del web in Cina, ipotizza che la presa di posizione del quartier generale Usa possa essere motivata dalla delusione nei confronti del ramo cinese. E se i rivali sostengono invece che sia una scelta di mercato, motivata dal fatto che la Cina è solo il 5% degli introiti da Google, ad analisti e accademici non sfugge che per un’azienda che punta sulla protezione delle email non è il massimo vedersi violare il fortino: in quest’ottica, dunque, meglio la fuga in avanti, l’outing morale, e tanta pubblicità.

Marco Del Corona
Corriere della Sera – 14 gennaio 2010