Pechino, 17 marzo 2010 (LaStampa.it). Alcuni siti web vietati in Cina, come quelli che mostrano le foto del massacro di piazza Tiananmen del 1989 e quelli di alcuni gruppi indipendentisti delle minoranze etniche della Cina sono stati accessibili oggi per alcune ore attraverso il sito in cinese di Google.
È quanto hanno raccontato alcuni giornalisti stranieri, mentre un portavoce del quartier generale di Google in California, Scott Rubin, ha dichiarato ai media americani che la compagnia “non ha cambiato nulla” nelle sue operazioni in Cina, gettando un’ombra di mistero sull’intera vicenda. Google, che gestisce un popolare motore di ricerca su Internet, ha denunciato attacchi informatici contro i suoi siti in provenienza dalla Cina e minacciato di togliere i filtri imposti dalla censura cinese che impediscono l’accesso ai siti ritenuti pericolosi dalle autorità.
Giornalisti della rete televisiva americana Nbc hanno affermato di aver aperto alcuni siti abitualmente proibiti sul massacro di piazza Tianamen, sui movimenti indipendentisti della regione cinese dello Xinjiang e quello del Tibet Information Network gestito da esuli tibetani vicini al Dalai Lama, il leader tibetano in esilio considerato un nemico da Pechino. I giornalisti hanno anche potuto vedere il video che mostra un uomo disarmato che ferma i carri armati diretti su piazza Tiananmen occupata dagli studenti, girato clandestinamente la notte del massacro (nella foto).Altri utenti di Internet hanno avuto risultati contraddittori: alcuni affermano di aver aperto siti proibiti, altri di non esserci riusciti. “Sembra che i filtri non funzionino perfettamente” – ha commentato Jeremy Goldkorn, fondatore del sito Danei.com che segue l’evoluzione di Internet in Cina. Un responsabile di Google citato dalla Nbc ha sollevato l’ipotesi che il parziale sblocco dei filtri potrebbe essere stato fatto di proposito dal governo cinese.
Google è impegnata da gennaio, subito dopo la sua denuncia, in trattative col governo cinese per cercare una soluzione di compromesso. I colloqui, ha scritto due giorni fa il quotidiano The Financial Times, sono arrivati ad un punto morto e la compagnia californiana, “al 99.9%”, si starebbe preparando a chiudere il suo sito in cinese. Non è chiaro cosa accadrebbe in quel caso alle altre operazioni di Google in Cina, come la fornitura di un software per i telefoni cellulari e se lo stesso sito in inglese Google.com e il suo popolare servizio di posta elettronica, la Gmail. Google China ha circa 700 dipendenti la cui sorte è legata all’esito della vicenda.Secondo un lancio dell’agenzia Reuters, le aziende cinesi che vendono spazi pubblicitari sulle pagine di ricerca di Google hanno richiesto chiarezza sui progetti della società in Cina, mettendo in guardia sul fatto che potrebbero chiedere un risarcimento nel caso chiudesse il suo portale cinese.
L’avvertimento da parte delle società di vendita di pubblicità online conferma i segnali in base a cui Google potrebbe presto decidere di chiudere Google.cn, più di due mesi dopo la denuncia di esser stato vittima di sofisticati attacchi informatici dall’interno della Cina e le dichiarazioni di non avere più la volontà di offrire un motore di ricerca censurato.
È quanto hanno raccontato alcuni giornalisti stranieri, mentre un portavoce del quartier generale di Google in California, Scott Rubin, ha dichiarato ai media americani che la compagnia “non ha cambiato nulla” nelle sue operazioni in Cina, gettando un’ombra di mistero sull’intera vicenda. Google, che gestisce un popolare motore di ricerca su Internet, ha denunciato attacchi informatici contro i suoi siti in provenienza dalla Cina e minacciato di togliere i filtri imposti dalla censura cinese che impediscono l’accesso ai siti ritenuti pericolosi dalle autorità.
Giornalisti della rete televisiva americana Nbc hanno affermato di aver aperto alcuni siti abitualmente proibiti sul massacro di piazza Tianamen, sui movimenti indipendentisti della regione cinese dello Xinjiang e quello del Tibet Information Network gestito da esuli tibetani vicini al Dalai Lama, il leader tibetano in esilio considerato un nemico da Pechino. I giornalisti hanno anche potuto vedere il video che mostra un uomo disarmato che ferma i carri armati diretti su piazza Tiananmen occupata dagli studenti, girato clandestinamente la notte del massacro (nella foto).Altri utenti di Internet hanno avuto risultati contraddittori: alcuni affermano di aver aperto siti proibiti, altri di non esserci riusciti. “Sembra che i filtri non funzionino perfettamente” – ha commentato Jeremy Goldkorn, fondatore del sito Danei.com che segue l’evoluzione di Internet in Cina. Un responsabile di Google citato dalla Nbc ha sollevato l’ipotesi che il parziale sblocco dei filtri potrebbe essere stato fatto di proposito dal governo cinese.
Google è impegnata da gennaio, subito dopo la sua denuncia, in trattative col governo cinese per cercare una soluzione di compromesso. I colloqui, ha scritto due giorni fa il quotidiano The Financial Times, sono arrivati ad un punto morto e la compagnia californiana, “al 99.9%”, si starebbe preparando a chiudere il suo sito in cinese. Non è chiaro cosa accadrebbe in quel caso alle altre operazioni di Google in Cina, come la fornitura di un software per i telefoni cellulari e se lo stesso sito in inglese Google.com e il suo popolare servizio di posta elettronica, la Gmail. Google China ha circa 700 dipendenti la cui sorte è legata all’esito della vicenda.Secondo un lancio dell’agenzia Reuters, le aziende cinesi che vendono spazi pubblicitari sulle pagine di ricerca di Google hanno richiesto chiarezza sui progetti della società in Cina, mettendo in guardia sul fatto che potrebbero chiedere un risarcimento nel caso chiudesse il suo portale cinese.
L’avvertimento da parte delle società di vendita di pubblicità online conferma i segnali in base a cui Google potrebbe presto decidere di chiudere Google.cn, più di due mesi dopo la denuncia di esser stato vittima di sofisticati attacchi informatici dall’interno della Cina e le dichiarazioni di non avere più la volontà di offrire un motore di ricerca censurato.