Nota al Memorandum sull’effettiva autonomia per il popolo tibetano

Documento presentato in occasione della nona tornata di colloqui tra gli inviati del Dalai Lama e le autorità cinesi ( 26 – 30 gennaio 2010).
I – INTRODUZIONE
Questa Nota tiene conto delle principali considerazioni ed obiezioni sollevate dal Governo Centrale Cinese rispetto alla sostanza del Memorandum sull’Effettiva Autonomia per il Popolo Tibetano sottoposto all’attenzione del Governo della Repubblica Popolare Cinese (R.P.C.) il 31 ottobre 2008, in occasione dell’ottava tornata negoziale a Pechino.
Avendo accuratamente esaminato le risposte e le reazioni del Ministro Du Qinglin e del Vice-ministro esecutivo Zhu Weiqun espresse durante i negoziati, comprese la nota scritta e le dichiarazioni fatte dal Governo Centrale Cinese dopo i negoziati, sembra che alcuni temi sollevati nel Memorandum siano stati equivocati, mentre altri sembrano non essere stati affatto compresi dal Governo Centrale Cinese.
Il Governo Centrale Cinese sostiene che il Memorandum viola la Costituzione della Repubblica Popolare Cinese e le ‘tre aderenze’[1]. La parte tibetana ritiene che le esigenze del popolo tibetano, delineate nel Memorandum, possano essere soddisfatte nel quadro e nello spirito della Costituzione e dei suoi principi sull’autonomia e che queste proposte non violino, nè contraddicano in alcun modo le ‘tre aderenze’. Riteniamo che questa Nota possa contribuire a chiarire la situazione.
Sua Santità il Dalai Lama avviò delle discussioni interne già nel 1974, al fine di trovare dei modi per risolvere il futuro status giuridico del Tibet attraverso un sistema di autonomia, invece che puntare all’indipendenza. Nel 1979 il leader cinese Deng Iaoping si disse disponibile a discutere e risolvere tutte le questioni, fatta eccezione per l’indipendenza del Tibet. Da allora, Sua Santità il Dalai Lama ha intrapreso numerose iniziative per arrivare ad una soluzione negoziale di reciproca soddisfazione alla questione del Tibet. In questo processo, Sua Santità il Dalai Lama ha costantemente seguito un approccio della “Via di Mezzo“, volto cioè a ricercare una soluzione accettabile e vantaggiosa per entrambi attraverso il negoziato, nello spirito della riconciliazione e del compromesso. In questo spirito sono stati presentati il Piano di Pace in cinque punti e la Proposta di Strasburgo. Data la mancanza di una reazione positiva da parte del Governo Centrale Cinese a queste iniziative, assieme all’imposizione della legge marziale nel marzo 1989 e il peggioramento della situazione in Tibet, Sua Santità il Dalai Lama si è sentito costretto a dichiarare nel 1991 che la Proposta di Strasburgo era ormai inutile. Tuttavia, Sua Santità il Dalai Lama ha mantenuto il suo impegno per l’approccio  della “Via di Mezzo“.
Il riavvio di un processo di dialogo fra il Governo Centrale Cinese e i rappresentanti di Sua Santità il Dalai Lama nel 2002 ha permesso a ciascuna parte di illustrare la propria posizione e comprendere meglio le preoccupazioni, le esigenze e gli interessi dell’altra parte. Inoltre, tenendo conto delle reali preoccupazioni, delle esigenze e degli interessi del Governo Centrale Cinese, Sua Santità il Dalai Lama ha avviato una lunga ed oggettiva riflessione sulla realtà della situazione. Questo atteggiamento rispecchia la flessibilità, la disponibilità, il pragmatismo e, soprattutto, la sincerità e la determinazione di Sua Santità il Dalai Lama a perseguire una soluzione reciprocicamente vantaggiosa.
Il Memorandum sull’Effettiva Autonomia per il Popolo Tibetano è stato preparato in risposta ai suggerimenti avanzati dal Governo Centrale Cinese in occasione della settima tornata di negoziati nel luglio 2008. Tuttavia, le reazioni del Governo Centrale Cinese e le critiche sollevate nei confronti del Memorandum sembrano essere basate non sul merito della proposta ufficialmente presentata, ma su precedenti proposte rese note assieme a dichiarazioni pubbliche rilasciate in diversi momenti e in diversi contesti.
Il Memorandum e questa Nota vogliono ancora una volta rimarcare che Sua Santità il Dalai Lama non cerca l’indipendenza o la separazione, ma una soluzione nell’ambito della Costituzione e dei suoi principi di autonomia, come ripetuto diverse volte in passato.
L’Assemblea Generale Speciale dei Tibetani della diaspora, tenutasi nel novembre 2008 a Dharamsala ha riconfermato il mandato a continuare il processo di dialogo con la RPC, sulla base dell’approccio  della Via di Mezzo. Da parte loro, i membri della comunità internazionale hanno esortato entrambe le parti a ritornare al tavolo dei negoziati. Molti di loro hanno espresso l’opinione che il Memorandum può rappresentare una buona base per la discussione.
II – RISPETTARE LA SOVRANITA’ E L’INTEGRITA’ TERRITORIALE DELLA REPUBBLICA POPOLARE CINESE
Sua Santità il Dalai Lama ha ripetutamente dichiarato che non cerca la separazione o l’indipendenza del Tibet dalla Repubblica Popolare Cinese. Egli ricerca invece una soluzione sostenibile con la R.P.C. Questa posizione è espressa senza alcuna ambiguità nel Memorandum.
Il Memorandum invoca l’esercizio di una effettiva autonomia, non l’indipendenza, la ‘semi-indipendenza’ o ‘l’indipendenza sotto mentite spoglie’. La sostanza del Memorandum, che spiega bene cosa si intende per effettiva autonomia, rende in maniera inequivocabile il senso di tutto ciò. La forma e il grado di autonomia proposti nel Memorandum sono conformi ai principi sull’autonomia sanciti nella Costituzione della Repubblica Popolare Cinese. Ci sono diverse regioni autonome in molte parti del mondo che esercitano il tipo di autonomia proposta nel Memorandum, senza con questo sfidare o minacciare la sovranità e l’unità dello stato cui appartengono. Questo vale per le regioni autonome che fanno parte di stati unitari, così come per le regioni che si trovano all’interno di stati federali. Gli osservatori della situazione, inclusi leader politici imparziali e intellettuali della comunità internazionale, hanno anch’essi riconosciuto che il Memorandum esprime una richiesta di autonomia e non di indipendenza o separazione dalla R.P.C.
Il punto di vista del governo cinese sulla storia del Tibet è diverso da quello dei tibetani e Sua Santità il Dalai Lama è consapevole del fatto che i tibetani non possono essere d’accordo. La storia è un fatto passato e non può più essere modificato. Tuttavia, Sua Santità il Dalai Lama guarda avanti e non indietro. Egli non vuole che questa differente posizione sulla storia del passato diventi un ostacolo nella ricerca di un futuro comune e positivo per entrambi all’interno della Repubblica Popolare Cinese.
Le reazioni del Governo Centrale Cinese al Memorandum rivelano un persistente sospetto che le proposte di Sua Santità siano delle iniziative tattiche per promuovere l’agenda segreta dell’indipendenza. Sua Santità il Dalai Lama è a conoscenza delle preoccupazioni della R.P.C. rispetto alla legittimità dell’attuale situazione in Tibet. Per questa ragione Sua Santità il Dalai Lama ha fatto sapere, tramite i suoi Inviati, e ha pubblicamente affermato di essere pronto ad appoggiare con la sua autorità morale un accordo di autonomia, una volta raggiunto, in modo che possa ottenere il sostegno del popolo ed essere adeguatamente applicato.
III – RISPETTARE LA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA POPOLARE CINESE
 
Il Memorandum afferma esplicitamente che la vera autonomia ricercata da Sua Santità il Dalai Lama per il popolo tibetano deve essere collocata all’interno del quadro costituzionale cinese e dei suoi principi sull’autonomia e non al di fuori di essi.
Il principio fondamentale alla base del concetto di autonomia regionale nazionale è quello di proteggere e conservare un’identità nazionale minoritaria, una lingua, un costume, una tradizione e una cultura in uno stato multi-nazionale, sulla base dell’uguaglianza e della cooperazione. La Costituzione prevede la creazione di organi di auto-governo laddove le minoranze nazionali vivano in comunità concentrate, per permettere loro di esercitare l’autonomia. In conformità con questo principio, il Libro Bianco sull’Autonomia Etnica Regionale in Tibet (maggio 2004) afferma che i gruppi nazionali minoritari sono “arbitri del proprio destino e padroni dei propri affari”.
Entro i limiti di questi principi fondamentali, una Costituzione deve rispondere alle esisgenze dei tempi ed essere in grado di adattarsi a nuove o mutate circostanze. I leader della R.P.C. hanno dimostrato la flessibilità della Costituzione della Repubblica Popolare Cinese nella sua interpretazione e attuazione e hanno anche introdotto modifiche ed emendamenti in risposta a mutate circostanze. Se applicata alla situazione tibetana, questa flessibilità permetterebbe, come affermato nel Memorandum, di tenere conto delle esigenze del popolo tibetano dentro il quadro della Costituzione e dei suoi principi sull’autonomia.
IV – RISPETTARE LE “TRE ADERENZE”
La posizione di Sua Santità il Dalai Lama, così come viene presentata nel Memorandum, non chiama in causa, né sfida in alcun modo la leadership del Partito Comunista Cinese nella R.P.C. Allo stesso tempo, è ragionevole aspettarsi che, al fine di promuovere l’unità, la stabilità e una società armoniosa, il Partito voglia cambiare atteggiamento e non considerare più la cultura tibetana, la sua religione, la sua identità come una minaccia.
Il Memorandum non vuole assolutamente sfidare il sistema socialista della Repubblica Popolare Cinese. Nulla vi si trova che possa suggerire l’appello ad un cambiamento di questo sistema o la sua esclusione dalle aree tibetane. Per quanto riguarda la posizione di Sua Santità il Dalai Lama sul socialismo, è risaputo che egli è sempre stato a favore di un’economia e un’ideologia socialiste, che promuovono l’ugualgianza e si battono per aiutare gli strati più bassi della società.
La richiesta di una effettiva autonomia di Sua Santità il Dalai Lama all’interno della R.P.C. tiene conto dei principi sull’autonomia dei gruppi nazionali minoritari contenuti nella Costituzione dell’RPC ed è conforme all’intento dichiarato di quei principi. Come indicato nel Memorandum, in realtà l’attuazione delle disposizioni sull’autonomia produce una negazione dell’effettiva autonomia dei tibetani e non permette loro di esercitare il diritto di governarsi e di essere “padroni dei propri affari.” Oggi importanti decisioni sul destino dei tibetani non vengono prese da loro stessi. L’attuazione della proposta di effettiva autonomia illustrata nel Memorandum darebbe ai tibetani la capacità di esercitare il diritto alla vera autonomia e quindi diventare padroni dei propri affari, in sintonia con i principi costituzionali sull’autonomia.
Pertanto, il Memorandum per una effettiva autonomia non è in contrasto con le ‘tre aderenze’.
V – RISPETTARE LA GERARCHIA E L’AUTORITA’ DEL GOVERNO CENTRALE CINESE
Le proposte contenute nel Memorandum non comportano in alcun modo una negazione dell’autorità del Congresso Nazionale del Popolo (CNP) e di altri organi del Governo Centrale Cinese. Come si afferma nel Memorandum, la proposta rispetta pienamente le differenze gerarchiche fra il Governo Centrale Cinese e i suoi organi, incluso il CNP e il governo autonomo del Tibet.
Qualsiasi forma di effettiva autonomia comporta una divisione e una distribuzione dei poteri e delle responsabilità, inclusa quella di approvare leggi e norme, fra il governo centrale e quello autonomo locale. Naturalmente, il potere di adottare leggi e norme è limitato agli ambiti che sono di competenza della regione autonoma. Questo vale sia negli stati unitari, sia in quelli federali.
Anche questo principio è riconosciuto nella Costituzione. Lo spirito degli articoli costituzionali sull’autonomia è di dare alle regioni autonome una più ampia autorità decisionale, aldilà di quella goduta dalle provincie a statuto ordinario. Tuttavia, oggi il requisito della preventiva autorizzazione da parte del Comitato Permanente del CNP delle leggi e delle norme delle regioni autonome (Art. 116 della Costituzione) è applicato in un modo che in realtà lascia alle regioni autonome molto meno spazio per prendere decisioni adatte alle condizioni locali, rispetto a quanto non succeda alle provincie a statuto ordinario (non autonome) della Cina.
Quando vi è una divisione e una distribuzione dei poteri decisionali fra differenti livelli di governo (tra il governo centrale e quello autonomo), è importante che siano operativi dei processi di consultazione e cooperazione. Ciò aiuta a migliorare la reciproca comprensione e ridurre al minimo le contraddizioni e le possibili incongruenze nelle politiche, nelle leggi e nelle norme. Ciò limita anche il margine di controversie relative all’esercizio dei poteri affidati a questi diversi organi di governo. Questi processi e meccanismi non mettono il governo centrale e i governi autonomi su una base di parità, nè implicano un rifiuto della leadership del governo centrale.
È altresì vero che nemmeno l’importante caratteristica dell’ancoraggio degli accordi di autonomia nella Costituzione o in altri sistemi ritenuti opportuni implica un pari status giuridico fra il governo centrale e quello locale, né limita o indebolisce in alcun modo l’autorità del primo. La misura è intesa a dare una sicurezza (legale) sia alle autorità autonome, sia a quelle centrali circa il fatto che nessuna delle due possa modificare unilateralmente le caratteristiche fondanti dell’autonomia cui hanno dato vita e che vi debba essere un processo di consultazione perlomeno sui cambiamenti fondamentali apportati al sistema.
VI – PREOCCUPAZIONI SOLLEVATE DAL GOVERNO CENTRALE CINESE SULLE COMPETENZE SPECIFICHE DI CUI SI FA MENZIONE NEL MEMORANDUM
a) Sicurezza pubblica
E’ stata sollevata un’obiezione rispetto all’inclusione degli aspetti relativi alla sicurezza pubblica nel pacchetto di competenze affidate alla regione autonoma, perchè il governo, a quanto sembra, ha ritenuto che questo punto riguardasse questioni di difesa. La difesa nazionale e la sicurezza pubblica sono due materie differenti. Sua Santità il Dalai Lama è chiaro su questo punto e dichiara che la responsabilità della difesa nazionale della Repubblica Popolare Cinese è e deve rimanere affidata al Governo Centrale. Questa non è una competenza che deve essere esercitata dalla regione autonoma. Così avviene nella maggior parte dei sistemi di autonomia. Il Memorandum in realtà fa specifico riferimento a “ordine pubblico e sicurezza interna” e sottolinea che la maggioranza degli adetti alla sicurezza debbano essere tibetani, perchè capiscono i costumi e le tradizioni locali. Questo permetterebbe anche di ridurre incidenti locali che possono provocare disaccordi fra i diversi gruppi nazionali. Il Memorandum in questo ambito è in sintonia con il principio enunciato nell’Articolo 120 della Costituzione (rispecchiato anche nell’Articolo 24 della LRNA), che afferma:
“Gli organi di auto-governo delle aree autonome nazionali possono, in conformità con il sistema militare dello stato e le esigenze pratiche locali e previa approvazione del Consiglio di Stato, organizzare forze locali di sicurezza pubblica per il mantenimento dell’ordine pubblico.”
È importante notare, a questo proposito, che il Memorandum non propone mai in nessun punto il ritiro dell’Esercito Popolare di Liberazione (PLA) dalle aree tibetane.
b) Lingua
La tutela, l’uso e la promozione della lingua tibetana sono fra gli elementi cruciali per l’esercizio di un’effettiva autonomia da parte die tibetani. L’enfasi sulla necessità di rispettare il tibetano come lingua primaria o principale nelle aree tibetane non è controversa, dato che una posizione simile è espressa dal Libro Bianco sull’Autonomia Etnica Regionale in Tibet del Governo Centrale Cinese, in cui si afferma che i regolamenti adottati dal governo regionale del Tibet prevedono che “sia data pari attenzione al tibetano e alla lingua cinese Han nella regione Autonoma del Tibet, con la lingua tibetana come principale…” (enfasi aggiunta). Inoltre, l’uso delle parole “lingua principale” nel Memorandum implica chiaramente anche l’uso di altre lingue.
La mancanza nel Memorandum di una richiesta di usare e insegnare il cinese non deve essere interpretata come una “esclusione” di questa lingua, che è la lingua comune e principale dell’intera RPC. È importante notare in questo contesto che la leadership in esilio ha intrapreso iniziative per incoraggiare i tibetani della diaspora ad imparare il cinese.
La proposta tibetana che mette l’accento sullo studio della propria lingua da parte del popolo tibetano non deve quindi essere interpretata come una “posizione separatista”.
c) Regolazione dell’immigrazione
Il Memorandum propone che il governo locale della regione autonoma debba avere la competenza di regolare la residenza, l’insediamento, l’occupazione o le attività economiche di coloro che vogliono spostarsi nelle aree tibetane da altre regioni. Questa è una caratteristica comune dell’autonomia e sicuramente non è senza precedenti nella R.P.C.
Alcuni paesi hanno istituito dei sistemi o adottato leggi per proteggere le regioni vulnerabili o le minoranze locali da un’immigrazione eccessiva proveniente da altre parti del paese. Il Memorandum afferma esplicitamente che non si suggerisce di espellere i non tibetani che vivono da anni nelle aree tibetane. Anche Sua Santità il Dalai Lama e il Kashag hanno così affermato in diverse dichiarazioni, così come hanno fatto gli Inviati nelle loro discussioni con le controparti cinesi. In un discorso al Parlamento europeo il 4 dicembre 2008, Sua Santità il Dalai Lama ha ribadito che “la nostra intenzione non è di espellere i non tibetani.  Ciò che ci preoccupa è lo spostamento forzoso di massa principalmente di cinesi han, ma anche di altre nazionalità, in molte aree tibetane; questo provoca la discriminazione della popolazione indigena tibetana e minaccia il fragile equilibrio del Tibet”. Da ciò emerge chiaramente che Sua Santità non suggerisce affatto che il Tibet sia abitato solo da tibetani, escludendo gli altri gruppi nazionali. La questione riguarda l’opportuna divisione dei poteri sulla regolamentazione dei flussi di lavoratori stagionali e di nuovi coloni, in modo da proteggere la vulnerabile popolazione indigena delle aree tibetane.
In risposta al Memorandum il Governo Centrale Cinese ha respinto la proposta di permettere alle autorità locali di disciplinare l’ingresso e le attività economiche di persone provenienti da altre parti della Repubblica Popolare Cinese, in parte perchè “nella Costituzione e nella Legge sull’Autonomia Nazionale Regionale non ci sono disposizioni legali che prevedano di limitare la popolazione non indigena.” In realtà, la Legge sull’Autonomia Nazionale Regionale, all’Articolo 43, invoca esplicitamente questa regolamentazione:
“In conformità con le disposizioni di legge, gli organi di auto-governo delle aree autonome nazionali elaboreranno misure atte a regolamentare la popolazione non indigena.”
Pertanto, la relativa proposta tibetana contenuta nel Memorandum non è affatto incompatibile con la Costituzione.
d) Religione
Quanto affermato nel Memorandum, cioè che i tibetani devono essere liberi di praticare la loro religione secondo la loro fede, è del tutto coerente con i principi di libertà religiosa contenuti nella Costituzione dell’RPC. Questo punto è coerente anche con il principio di separazione fra religione e stato adottato in molti paesi del mondo.
L’Articolo 36 della Costituzione garantisce che nessuno possa “costringere i cittadini a credere o a non credere in una qualsiasi religione.” Noi approviamo questo principio, ma osserviamo che oggi le autorità governative interferiscono in misura considerevole nella possibilità dei tibetani di praticare la propria religione.
Il rapporto spirituale fra maestro e allievo e la possibilità di impartire insegnamenti religiosi, ecc. sono elementi essenziali della pratica del Dharma. Limitare questi elementi rappresenta una violazione della libertà religiosa. Similmente, l’interferenza e il diretto coinvolgimento dello stato e delle sue istituzioni in questioni di riconoscimento dei lama reincarnati, come previsto nella norma sulla gestione dei lama reincarnati adottata dallo Stato il 18 luglio 2007, rappresenta una grave violazione della libertà di culto, sancita dalla Costituzione.
La pratica della religione è comune e fondamentale per il popolo tibetano. Invece che vedere la pratica buddista come una minaccia, le autorità dovrebbero rispettarla. Tradizionalmente, o storicamente, il Buddismo è sempre stato un fattore positivo e unificante fra il popolo tibetano e quello cinese.
e) Amministrazione Unica
Il desiderio dei tibetani di essere governati all’interno di una regione autonoma è pienamente in linea con i principi di autonomia della Costituzione. La motivazione della necessità di rispettare l’integrità del gruppo nazionale tibetano è chiaramente espressa nel Memorandum e non significa “Grande Tibet o Piccolo Tibet”. In effetti, come indicato nel Memorandum, la Legge sull’Autonomia Nazionale Regionale stessa permette questo tipo di modifica dei confini amministrativi, se si seguono le giuste procedure. Pertanto, la proposta non viola affatto la Costituzione.
Come sottolineato dagli Inviati in precedenti tornate negoziali, molti leader cinesi, compresi il premier Zhou Enlai, il vice-premier Chen Yi e il segretario del partito Hu Yaobang, erano a favore dell’idea di portare tutte le aree tibetane sotto un’unica amministrazione. Alcuni dei più autorevoli leader tibetani nella Repubblica Popolare Cinese, inclusi il X Panchen Lama, Ngapo Ngawang Jigme e Bapa Phuntsok Wangyal, si sono detti favorevoli a questa soluzione e hanno affermato che ciò è conforme alla Costituzione e alle leggi dell’RPC. Nel 1956 fu nominato dal Governo Centrale Cinese uno speciale comitato, che comprendeva l’autorevole membro del Partito Comunista Sangye Yeshi (Tian Bao), con il mandato di preparare un piano dettagliato per l’integrazione delle aree tibetane in un’unica regione autonoma, ma il lavoro fu successivamente interrotto a causa di elementi di ultra-sinistra.
La ragione fondamentale della necessità di integrare le aree tibetane in un’unica regione amministrativa è quella di venire incontro al profondo desiderio dei tibetani di poter esercitare la propria autonomia come popolo e proteggere e promuovere la propria cultura e i loro valori spirituali. Questa è anche la fondamentale premessa e lo scopo dei principi costituzionali sull’autonomia regionale nazionale, come sanciti nell’Articolo 4 della Costituzione. I tibetani si preoccupano per l’integrità del gruppo nazionale tibetano, che la proposta rispetta, a differenza di quanto accadrebbe se si continuasse con l’attuale sistema. Il loro comune patrimonio storico, la loro identità spirituale e culturale, la lingua e anche la particolare affinità con il meraviglioso altopiano tibetano è ciò che lega i tibetani in un unico gruppo nazionale. All’interno della Repubblica Popolare Cinese i tibetani sono riconosciuti come un unico gruppo nazionale e non come più gruppi nazionali. Anche i tibetani che attualmente vivono nelle province e nelle contee autonome incorporate in altre regioni appartengono allo stesso gruppo nazionale tibetano. I tibetani, compresa Sua Santità il Dalai Lama, sono particolarmente interessati alla protezione e alla promozione della cultura tibetana, dei valori spirituali, dell’identità nazionale e l’ambiente. I tibetani non chiedono l’espansione delle aree autonome tibetane; chiedono solo che le zone già riconosciute come aree autonome tibetane vengano riunite sotto un’unica amministrazione, come succede già in altre regioni autonome della R.P.C. Fino a quando i tibetani non avranno l’opportunità di governare se stessi sotto un’unica amministrazione, la difesa e la conservazione della loro cultura e del loro modo di vivere non potranno essere realizzati in maniera efficace. Oggi più della metà della popolazione tibetana è assoggettata alle priorità e agli interessi innanzitutto di diversi governi provinciali, in cui non hanno alcun ruolo significativo.
Come illustrato nel Memorandum, il popolo tibetano può veramente esercitare la propria autonomia regionale, solo se può avere il suo proprio governo autonomo, l’assemblea popolare e altri organi di auto-governo con giurisdizione sopra l’intero gruppo nazionale tibetano. Questo principio è sancito nella Costituzione, che riconosce il diritto delle nazionalità minoritarie di praticare la propria autonomia regionale “in aree dove vivono in comunità concentrate” e di “istituire organi di auto-governo per esercitare l’autonomia,” (Articolo 4). Se il “pieno rispetto dello stato e la garanzia a favore del diritto dei gruppi nazionali minoritari di amministrare i loro affari interni”, solennemente sancito nel preambolo della Legge sull’Autonomia Nazionale Regionale, viene interpretato nel senso che non si intende il diritto di scegliere di formare una regione autonoma che abbracci l’intero popolo nelle regioni contigue dove vivono dei membri di quel gruppo in comunità concentrate, allora i principi costituzionali sull’autonomia sono messi a repentaglio.
Tenere i tibetani divisi e assoggetati a differenti leggi e normative nega al popolo l’esercizio di un’effettiva autonomia e impedisce loro di mantenere la loro distinta identità culturale. Non è impossibile per il Governo Centrale introdurre le necessarie correzioni amministrative, perchè in altre regioni dell’RPC, in particolare nel caso delle regioni autonome della Mongolia interna, del Ningxia e del Guangxi, il governo ha fatto esattamente questo.
f) Sistema politico, sociale ed economico
Sua Santità il Dalai Lama ha ripetutamente e continuamente affermato che nessuno, sicuramente non lui, ha alcuna intenzione di ripristinare il vecchio sistema politico, sociale ed economico esistente in Tibet prima del 1959. Sarebbe intenzione di un futuro Tibet autonomo promuovere e sviluppare la situazione sociale, economica e politica dei tibetani e non certo ritornare al passato. È allarmante e sconcertante che il governo cinese persista, nonostante le molteplici prove contrarie, ad accusare Sua Santità il Dalai Lama e la sua Amministrazione di voler ripristinare il vecchio sistema.
Tutti i paesi e le società del mondo, compresa la Cina, hanno avuto sistemi politici in passato che sarebbero totalmente inaccettabili oggi. Il vecchio sistema tibetano non fa eccezione. Il mondo è cambiato dal punto di vista sociale e politico e ha fatto enormi passi avanti nel riconoscimento dei diritti umani e nel miglioramento del tenore di vita. I tibetani in esilio hanno sviluppato il proprio sistema democratico moderno, così come un moderno sistema scolastico, sanitario e altre istituzioni. In questo modo, i tibetani sono diventati cittadini del mondo, al pari dei cittadini di altri paesi. È ovvio che anche i tibetani che vivono nella Repubblica Popolare Cinese hanno fatto dei progressi, migliorando la propria situazione sociale, scolastica, sanitaria ed economica. Tuttavia, il tenore di vita del popolo tibetano rimane il più basso dell’RPC e i diritti umani dei tibetani non sono rispettati.
VII – RICONOSCERE IL NOCCIOLO DELLA QUESTIONE
Sua Santità il Dalai Lama e altri membri della leadership in esilio non hanno richieste personali da avanzare. Sua Santità il Dalai Lama si preoccupa principalmente dei diritti e del benessere del popolo tibetano. Pertanto, la questione fondamentale che deve essere risolta è la fedele attuazione di un’effettiva autonomia che permetta al popolo tibetano di auto-governarsi secondo il proprio ingegno e i propri bisogni.
Sua Santità il Dalai Lama parla a nome del popolo tibetano, con cui intrattiene un profondo e storico rapporto, basato sulla piena fiducia. In effetti, su nessun’altra questione i tibetani sono così d’accordo come sulla richiesta del ritorno di Sua Santità il Dalai Lama in Tibet. È fuor di dubbio che Sua Santità il Dalai Lama rappresenta legittimamente il popolo tibetano ed è sicuramente visto come il suo vero rappresentante e portavoce. È infatti solo attraverso il dialogo con Sua Santità il Dalai Lama che la questione tibetana può essere risolta. Riconoscere questa realtà è della massima importanza.
Questo sottolinea il punto, spesso ribadito da Sua Santità il Dalai Lama, che il suo impegno per la causa del Tibet non ha lo scopo di rivendicare qualche diritto personale o una posizione politica per se stesso, né ha lo scopo di avanzare delle rivendicazioni per l’amministrazione tibetana in esilio. Una volta che sarà raggiunto un accordo, il Governo tibetano in esilio verrà sciolto e i tibetani che lavorano in Tibet si assumeranno la responsabilità di amministrare la regione. Sua Santità il Dalai Lama ha dichiarato in più occasioni che non rivestirà alcuna posizione politica in Tibet.
VIII –  LA COLLABORAZIONE DI SUA SANTITA’ IL DALAI LAMA
Sua Santità il Dalai Lama si è detto disponibile a rilasciare una formale dichiarazione che serva a dissipare i dubbi e le preoccupazioni del Governo Centrale Cinese rispetto alla sua posizione e alle sue intenzioni in merito alle questioni summenzionate.
La formulazione della dichiarazione dovrebbe avvenire dopo ampie consultazioni fra i rappresentanti di Sua Santità il Dalai Lama e il Governo Centrale Cinese, per garantire che questa dichiarazione soddisfi le esigenze fondamentali del Governo Centrale Cinese e quelle del popolo tibetano.
È importante che le due parti affrontino ogni questione direttamente con le loro controparti e che non utilizzino questi temi per bloccare il processo di dialogo, come successo in passato.
Sua Santità il Dalai Lama assume l’iniziativa, certo che sia possibile trovare un terreno comune con la Repubblica Popolare Cinese, in linea con i principi sull’autonomia contenuti nella Costituzione della R.P.C. e con gli interessi del popolo tibetano. In questo spirito, Sua Santità il Dalai Lama si augura e spera che i rappresentanti della Repubblica Popolare Cinese colgano l’occasione rappresentata dal Memorandum e dalla sua Nota per approfondire la discussione e fare sostanziali progressi sulla strada di una reciproca comprensione.
<HR/>
[1] Le ‘tre aderenze’, così come sono state stabilite dal Governo Centrale sono: (1) il comando del Partito Comunista Cinese; (2) il socialismo con caratteristiche cinesi; e (3) il sistema di Autonomia Nazionale Regionale.