TIBET: AUTONOMIA O INDIPENDENZA, DUE POSIZIONI A CONFRONTO

di Claudio Cardelli

3 maggio 2010. Venerdì 30 aprile si è svolto a Radio Radicale un interessante dibattito tra Marco Pannella e Piero Verni in cui si è principalmente discusso della politica del Governo Tibetano in Esilio, del Middle Way Approach e delle ragioni delle due “posizioni” autonomia-indipendenza che ormai da anni costituiscono due visioni contrapposte degli obiettivi da perseguire per risolvere il problema tibetano. Quanti non avessero potuto seguire in diretta l’interessante dibattito, possono ascoltarlo o scaricarlo collegandosi al sito di Radio Radicale alla pagina:

http://www.radioradicale.it/scheda/302470/conversazione-settimanale-straordinaria-con-marco-pannella

Sull’argomento, queste le osservazioni di Claudio Cardelli, presidente dell’Associazione Italia-Tibet.

Anzitutto una premessa:

1) La situazione in Tibet è tutt’altro che normalizzata come dimostrano le recenti esecuzioni capitali e le condanne a 3, 5 e 15 anni per quattro blogger tibetani, l’arresto dello scrittore Tagyal per le critiche fatte alla gestione del terremoto in Amdo, le dimostrazioni di massa dei mesi scorsi e la morte in prigione di una giovane monaca condannata per una manifestazione a sostegno del Dalai Lama.

2) Dobbiamo inoltre prendere atto che, in questo momento e per motivi diversi, nessun governo, parlamento o organismo internazionale vuole appoggiare in modo concreto la lotta del popolo tibetano. Le generiche affermazioni verbali di sostegno alla richiesta di autonomia avanzata dal Governo tibetano in esilio non fanno che alimentare le illusioni dei tibetani in esilio.

3) È evidente inoltre che la Cina non ha alcuna intenzione di aprire (né con il Dalai Lama né con nessun altro) dialoghi di sorta. Tutti gli incontri, dal 2002 ad oggi, non hanno prodotto alcun risultato e riteniamo altamente improbabile che sotto l’attuale regime comunista possa verificarsi qualsiasi forma di cambiamento. Riteniamo che solo una Cina democratica potrà garantire libertà e rispetto dei diritti umani sia al popolo cinese sia ai tibetani. Senza democrazia in Cina non vi sarà né autonomia né indipendenza per il Tibet.

Sulla base di tale premessa, riteniamo il dilemma Autonomia o Indipendenza un dilemma inutile e unilaterale dal momento che Pechino non è disposta a discutere né l’una né l’altra. Interessante la battuta della presidente della comunità tibetana in Italia Kalsang Dolkar a Milano quando, riferendosi alla discussione spesso accesa tra indipendentisti e autonomisti, ha intelligentemente sottolineato che è inutile azzuffarsi per affermare quale dei due SOGNI è il migliore. In entrambi i casi di sogni si tratta.  Non si può tuttavia negare che il dibattito su questi temi esiste, sia tra i sostenitori della causa tibetana, in Italia e all’estero, sia anche e soprattutto tra gli stessi tibetani in esilio che su questo tema si confrontano in modo sempre più aperto.

Vorremmo tuttavia che il confronto tra “autonomisti” e “indipendentisti” fosse sereno, pacato e ragionevole, senza criminalizzazioni degli uni o degli altri. Alzando i toni della discussione non aiutiamo i tibetani.

L’associazione Italia Tibet non prende una posizione “ufficiale” o istituzionale sull’alternativa Autonomia-Indipendenza. E’ stato già ripetuto in diverse occasioni. Tra i nostri soci non è in corso, e speriamo non lo sia nemmeno in futuro, una guerra tra due “linee” contrapposte. Sia tra i soci e sia nello stesso consiglio su questo “dilemma” ci sono posizioni diversificate spesso sfumate o a volte, più raramente, contrapposte. Abbiamo tuttavia intenzione di aprire al nostro interno e verso l’esterno una discussione serena e approfondita. L’Associazione Italia-Tibet non è quindi disponibile a mettere brutalmente sotto accusa, come qualcuno fa sia all’interno della comunità tibetana sia tra i gruppi di sostegno, la politica del Governo Tibetano In Esilio, ma non accetta nemmeno una messa all’indice di quanti propongono soluzioni diverse dalla Via di Mezzo. Non possiamo ignorare il grido dei tibetani all’interno del Tibet che, anche a costo di farsi arrestare o massacrare, scendono per le strade chiedendo l’indipendenza per il loro paese.

Siamo tuttavia convinti che in questo momento il vero problema sia la democratizzazione della Cina. La vera discussione dovrebbe vertere su come contribuire ad aiutare o accelerare questo processo, un processo di cui in Cina si colgono ormai segnali inequivocabili, al di là delle dimostrazioni di forza e delle repressioni in atto. Solo in una Cina democratica sarà possibile affrontare il nodo del futuro assetto del Tibet.

Per concludere, in riferimento anche al recente convegno di Trento sull’autonomia del Trentino Alto Adige come modello di riferimento per un futuro Tibet autonomo, va sottolineato che solo dopo la caduta del fascismo è iniziata la possibilità di discutere di un obiettivo di autonomia, raggiunto, per altro, dopo trent’anni e anche con metodi di lotta che in alcuni momenti hanno conosciuto “toni” molto aspri e violenti.

Se la Cina e la sua classe dirigente cambieranno allora sarà forse possibile aprire dei negoziati seri. Per aiutare questo cambiamento è necessario almeno continuare a denunciare con molta durezza la realtà di oggi all’interno della Repubblica Popolare Cinese.

Neppure la tragedia del terremoto in Amdo ha smosso di un millimetro Pechino che ha continuato a trattare con inaudita durezza i monaci venuti in soccorso da ogni parte del Tibet e non ha minimamente considerato l’ipotesi di concedere al Dalai Lama una visita tra i disastrati del sisma. Ripetendo la solita cantilena di forze oscure d’oltremare che attentano all’unità della madre patria. Un gesto che, nel contesto della catastrofe, probabilmente non avrebbe avuto una valenza politica pesante e avrebbe mostrato quello che al momento non c’è: il volto “umano” del regime cinese”. Avrebbe forse spento i toni e magari avrebbe avviato una nuova stagione meno aspra e senza sbocchi dell’attuale.

Ci è giunto dunque un interessante commento alla trasmissione da parte di Carlo Buldrini, profondo conoscitore della realtà tibetana, che, basta leggerlo, è su posizioni decisamente indipendentiste. Lo pubblichiamo volentieri sperando di ricevere anche un altrettanto interessante commento su posizioni diverse.

Nel ringraziare Radio Radicale per l’ampio spazio dato al problema, riteniamo che tutti colgano l’utilità di un tale dibattito affinché, almeno tra di noi, veri amici del Tibet, il dialogo ci sia sempre e comunque. Pacato, rispettoso, franco e costruttivo.

Claudio Cardelli