6 maggio 2010. Iniziano a circolare le prime notizie sui piani varati dal governo di Pechino circa la ricostruzione della città tibetana di Kyegudo, uno dei centri maggiormente colpiti dal terremoto del 14 aprile. Secondo alcune dichiarazioni rilasciate il 1° maggio dal premier Wen Jiabao nel corso di un incontro organizzato dopo la sua seconda visita alle zone devastate dal sisma, sarà data priorità alla ricostruzione degli edifici pubblici, comprese scuole e ospedali. Wen ha inoltre affermato che il governo contribuirà finanziariamente al restauro dei monasteri. Un consigliere governativo ha precisato che la nuova Kyegudo sarà “una città turistica attenta all’ecologia”.
Circa la ricostruzione delle abitazioni degli oltre 100.000 senza tetto, definiti “in grande maggioranza pastori e agricoltori”, in una nota dell’agenzia Xinhua del 2 maggio 2010 si legge che quest’opera richiederà un periodo di tempo di almeno tre anni e che sarà in gran parte finanziata dal governo. A questo proposito, International Campaign for Tibet fa sapere che, secondo fonti all’interno del Tibet, i tibetani residenti nella zona dichiarano che sarebbero in grado di ricostruire da soli le abitazioni, e in minor tempo, se solo fossero loro forniti i materiali necessari. La stessa fonte precisa che molti preferirebbero non aspettare la ricostruzione e vivere presso famigliari o amici anziché vivere sotto le tende, unico rifugio per il tempo a venire.
Poiché il governo centrale intende finanziare e sovraintendere alla ricostruzione, si teme che la popolazione locale non avrà alcuna voce in capitolo e sarà esclusa da ogni decisione. La legge cinese sull’autonomia etnica regionale stabilisce infatti che quando i finanziamenti provengono dalle autorità centrali, ogni competenza decisionale, anche a livello locale, spetta al governo.
Nel processo di ricostruzione, la questione ambientale sarà uno dei punti cruciali. A causa di discutibili politiche agricole, negli ultimi decenni il territorio della Prefettura Autonoma Tibetana di Yushu si è andato desertificando e il governo cinese, nel tentativo di porre rimedio al degrado dell’ambiente, ha sottratto alla pastorizia vasti appezzamenti di terreno relegando nomadi e contadini in prefabbricati spesso costruiti ai margini delle città o lungo le strade. Ancora non si conosce con esattezza quale sia stato l’impatto del terremoto su questi edifici prefabbricati ma si ritiene che molte vite sarebbero state risparmiate se ai contadini fosse stato consentito di vivere nei pascoli anziché nei ghetti urbani.
Fonte: International Campaign for Tibet
UNA COMMOVENTE TESTIMONIANZA
Questa commovente testimonianza sul terremoto che ha colpito la Prefettura di Yushu ci viene da una tibetana, Tencho Gyatso, ed è stata pubblicata sul blog di savetibet.org. il 3 maggio 2010.
Nata e cresciuta in India, Tencho Gyatso è stata eletta per due mandati al Parlamento Tibetano. Emigrata negli Stati Uniti nel 1999, è ora cittadina americana e collabora con International Campaign for Tibet.
Sono passati 19 giorni dal terremoto che ha raso al suolo Yushu ma i miei pensieri continuano ad andare alla popolazione locale. Oggi ho letto un articolo scritto da una giornalista cinese, Ai Mo, che mi ha veramente colpita. Nei primi giorni dopo il sisma si trovava a Yushu e, in quel momento così difficile, sembra aver capito lo stato d’animo dei tibetani.
Ai Mo scrive: “Molte persone si chiedono qual’ è la differenza tra il terremoto che ha devastato il Sichuan, nel 2008, e il terremoto di Yushu. Un confronto non è possibile. In Sichuan sono morte 100.000 persone, a Yushu non meno di 10.000, ma, in termini numerici, il confronto è privo di significato e non dovrebbe essere fatto”.
Per noi tibetani il terremoto che ha colpito la Prefettura di Yushu ha un significato che va ben oltre il computo dei morti. Rappresenta la devastazione di una delle ultime città tibetane non ancora occupate e cambiate dai cinesi. Il mondo intero, e gli stessi cinesi, ha reagito con sorpresa nell’apprendere che la maggior parte della popolazione di Yushu – ben il 97% – è tibetana. Yushu era troppo remota e isolata per invogliare i cinesi a insediarsi in quel territorio ma, ora che Pechino ha promesso di ricostruirla, temo che questa bellissima terra, ancora tutta tibetana, ci sarà sottratta.
La città di Kyegudo è il cuore della Prefettura Autonoma Tibetana di Yushu, è il centro storico e il riferimento culturale di tutti i tibetani della regione. In un elegante e circostanziato articolo, “Kyegu on my mind”, un intellettuale tibetano, Jamyang Norbu, ha scritto: “Tradizionalmente, Kyegudo è stata uno dei più importanti centri e crocevia del commercio in Tibet”. Egli scrive che lunghissime carovane, a volte formate addirittura da tremila yak, attraversavano la regione e, anche se la città non era poi così grande, molti mercanti avevano qui la loro residenza. Norbu dice inoltre che, nei dieci anni che precedettero l’invasione, Kyegudo era una città ricca e prosperosa. Nelle praterie che la circondavano i nomadi allevavano gli yak e, nonostante a quell’altezza le estati fossero brevi, orzo e fagioli e altre colture assicuravano abbondanti raccolti.
Tsering Wangmo Dhompa, una poetessa e scrittrice tibetana che nel 2009 ha viaggiato a lungo attraverso il Kham allo scopo di compiere delle ricerche per un suo nuovo libro, afferma di aver constatato che la gente di Kyegudo ha conservato inalterate le caratteristiche proprie dei Khampa, sia nel modo di vestire e parlare sia nelle abitudini quotidiane. Nel suo nuovo libro, Tsering dedica quattro o cinque capitoli allo stile di vita degli abitanti di Kyegudo.
Ma la città è soprattutto nota per la festa annuale delle corse a cavallo, quando migliaia di nomadi provenienti da ogni parte della regione confluiscono a Kyegudo e danno vita a uno spettacolare raduno lungo un’intera settimana. La piana di Barthang, dove la gente era solita accamparsi sotto confortevoli tende e dove si svolgevano le competizioni, ospita ora, in poveri rifugi di fortuna, i sopravvissuti al terremoto. Mentre penso a loro, riuniti là nella piana della festa e delle corse a cavallo, mi tornano alla mente le parole della giornalista cinese. “Come inviati nella zona del terremoto” – ha scritto – “né io né i miei colleghi abbiamo visto la gente urlare disperata o pestare i pugni a terra e solo raramente l’abbiamo vista piangere sommessamente”. “Se non fosse per la vista degli edifici crollati e dell’alto numero di senza tetto che girano per le strade, non diremmo che qui ci sono stati tanti morti. Le persone che hanno perso i loro cari hanno volti gravi e pieni di dignità. Leggono le Scritture. Portano i cadaveri al monastero. Chiedono ai monaci e ai Buddha Viventi di aiutare i loro congiunti a passare nell’altro mondo e pregano affinché possano uscire dal ciclo delle rinascite e della sofferenza per entrare in quello della beata felicità”.
Il mio amico Rinchen, che è cresciuto a Kyegu, chiama la città con il nome di “Kyegu Dhondup Lungpa” che significa “il luogo che offre il meglio di tutto”. Ha passato qui i momenti più felici della sua vita, qui è cresciuto e andato a scuola, ogni strada e ogni angolo sono pieni di ricordi. Adesso tutto è distrutto. Mi ricorda che la tradizione del Buddismo tibetano è il cardine della vita degli abitanti della Prefettura di Yushu. Come tutti sanno, in Tibet le fotografie del Dalai Lama sono messe al bando ma le rovine delle case hanno restituito un numero incredibile di sue immagini. E mentre i morti vengono cremati, la gente canta e prega Sua Santità. Questo ci fa capire i loro veri sentimenti e ciò di cui hanno bisogno in questo difficile momento.
La maggior parte dei tibetani è gente semplice. Chiedono soltanto di poter vivere da tibetani. Vorrebbero poter vedere il Dalai Lama almeno una volta nella vita, soprattutto in un momento tragico come questo. Vorrebbero essere liberi di scegliere come vivere. Vorrebbero avere i loro monaci e frequentare i monasteri. Vogliono solo essere tibetani. Ma ora sono travolti da qualcosa che non possono controllare: ancora una volta, una politica fondata sull’avidità e il potere mette a rischio il loro stile di vita, proprio nel momento in cui stanno piangendo i loro morti. E su queste premesse mi chiedo: come sarà la nuova Kyegudo che nascerà da questa distruzione? Manterrà qualche somiglianza con la città che era o diventerà una nuova, anonima città cinese prefabbricata, costruita sulle rovine di una gemma tibetana?