UNA TEMPESTA DI RABBIA: LA REPRESSIONE CINESE SUGLI SCRITTORI E ARTISTI TIBETANI

Dharamsala, 18 maggio 2010. Secondo un rapporto pubblicato da International Campaign for Tibet e intitolato “Una tempesta di rabbia: la repressione degli scrittori e artisti tibetani dopo le proteste del 2008”, oltre cinquanta intellettuali tibetani sono stati arrestati o sono scomparsi per avere comunicato al mondo, a partire dalla primavera del 2008, il malessere della società civile tibetana ed aver apertamente criticato la politica del governo di Pechino.

Il rapporto afferma che dal marzo 2008, quando le proteste contro il governo di Pechino e le manifestazioni a sostegno del Dalai Lama infiammarono l’altopiano, il Tibet ha conosciuto una profonda rinascita letteraria e culturale. Grazie a Internet e a qualche contatto con il mondo occidentale, alcuni scrittori in grado di scrivere e parlare sia in lingua tibetana sia in lingua cinese sono stati i portavoce del dissenso. Accomunati da un forte senso dell’identità nazionale, anche numerosi cantanti e studiosi hanno osato sfidare l’autorità del Partito comunista mettendo a repentaglio le loro vite. Scritti e canzoni sono stati pubblicati nei blog, su riviste non autorizzate, caricati su Youtube o usati come suonerie dei telefoni cellulari.

Per la prima volta dalla Rivoluzione Culturale, nel decennio 1966-1976, scrittori, cantanti e artisti della nuova generazione sono stati oggetto di una violenta campagna di annichilimento della cultura tibetana, una campagna in base alla quale ogni espressione dell’identità tibetana non riconosciuta da Pechino è etichettata come “separatista”.

“Una tempesta di rabbia” racconta i casi di oltre cinquanta tibetani, tra i quali tredici scrittori, arrestati, scomparsi o sottoposti a tortura per aver espresso le loro opinioni. Descrive inoltre le vicende di alcuni tibetani condannati a lunghe pene detentive solo per aver parlato della repressione in atto al telefono o averne scritto usando la posta elettronica e fornisce una lista di cantanti arrestati a causa dei contenuti delle loro canzoni. Il rapporto di International Campaign for Tibet si sofferma in particolare sul caso dello scrittore tibetano Tragyal, conosciuto con lo pseudonimo di Shogdung, arrestato a Xining il 23 aprile 2010 (vedi nel sito: Xining, arrestato noto scrittore tibetano – 26 aprile 2010) per aver pubblicato un libro sul significato della protesta del marzo 2008 e per aver firmato assieme ad altri scrittori e intellettuali tibetani una lettera aperta indirizzata alle autorità cinesi in cui era criticata la gestione delle operazioni di soccorso ai terremotati del sisma del 14 aprile 2010. Non si conosce il luogo della sua detenzione.

Tashi Rabten è un giovane scrittore originario della Contea di Ngaba, nella provincia del Sichuan, fermato la prima volta nel luglio 2009 e arrestato il 6 aprile 2010. Era il redattore di una rivista letteraria messa al bando dopo la pubblicazione di un numero dedicato alle manifestazioni della primavera 2008 e autore di una raccolta di saggi “Scritti col Sangue”, un insieme di riflessioni sulla democrazia, la libertà e l’uguaglianza. Tra i cantanti, figura Tashi Dhondup, arrestato il 3 dicembre 2009 in un ristorante di Xining con l’accusa di “sospetto incitamento alla divisione della nazione”. Nel suo ultimo CD, uscito nell’ottobre dello stesso anno, Tashi Dhondup chiedeva il ritorno del Dalai Lama e cantava “In Tibet non c’è libertà”.

Gli arresti e le deportazioni sembrano non dissuadere gli intellettuali tibetani. Gli autori del rapporto ritengono, infatti, che le repressioni non fanno altro che incoraggiare il dissenso, rendendolo sempre più difficile da controllare. “Nonostante, ma forse proprio a causa, della severità del governo, i dissidenti continuano a esprimersi pubblicamente, in modo particolare con la parola scritta”.

Fonti: International Campaign for Tibet – AsiaNews – Phayul