24 maggio 2010. Per un’ora, il Dalai Lama ha potuto rispondere in diretta alle domande dei cittadini cinesi attraverso il social network Twitter. È accaduto lo scorso venerdì 21 maggio, dietro richiesta di Wang Lixiong, uno scrittore cinese convertito al buddismo, che ha reso possibile l’intervista utilizzando il suo account personale. In precedenza, Wang aveva invitato i cittadini cinesi a porre le loro domande e a votare quelle preferite attraverso Google Moderator. 1253 persone hanno risposto all’appello e proposto 289 domande. Sulla base delle preferenze espresse, Wang Lixiong ha condotto l’intervista al Dalai Lama, avvenuta in un albergo di New York.
Proponiamo ai visitatori del nostro sito alcuni interessanti passaggi.
D. Vorrei parlare degli incontri avvenuti tra il governo tibetano in esilio e i comunisti cinesi. Perché questi incontri non hanno prodotto alcun risultato? Quali sono le richieste ritenute inammissibili?
R. Il governo cinese ha ufficialmente affermato che non esiste alcuna questione tibetana sulla quale discutere ma soltanto il problema personale del Dalai Lama. Io non chiedo niente per me stesso: esiste una sola questione, quella di sei milioni di tibetani, della loro religione, cultura e ambiente. Queste sono le sole cose che mi stanno a cuore e che devono essere discusse. Se e quando il governo centrale riconoscerà l’esistenza di un problema tibetano, come sembra stia avvenendo nel caso dello Xinjiang, e si adopererà per risolverlo, avremo un oggetto di discussione. Da parte mia offrirò la massima collaborazione perché condivido gli obbiettivi del governo cinese in materia di sviluppo, stabilità e rapporti amichevoli. Tuttavia, in termini di metodo, il governo cinese sembra cercare la stabilità attraverso la forza mentre io ritengo che debba essere basata sulla pace mentale e sulla fiducia.
D. Molti tibetani affermano che il problema è il governo sul Tibet dell’etnia Han. In realtà, anche noi Han siamo vittime dello stesso regime dittatoriale. Come vede questa questione?
R. Il problema dei rapporti tra cinesi e tibetani non è iniziato negli anni 1949 – 1950 ma è vecchio di oltre mille anni. In tutto questo arco di tempo, si sono alternati momenti di buoni e di cattivi rapporti. Attualmente non sono buoni ma la causa è da ricercare nelle politiche attuate dal governo, non nelle persone. Sono quindi importanti i rapporti interpersonali.
Nei paesi liberi, dove coesistono tibetani e cinesi, abbiamo cercato di favorire forme di associazionismo tra le due comunità e le cose sembrano funzionare. Il problema sta nel fatto che il detto di Deng Xiaoping “cercare la verità dai fatti” non è messo in pratica. Hu Yaobang ha cercato di capire la situazione reale e recentemente Wen Jiabao lo ha citato ricordando la sua linea di condotta basata sulla comprensione dei fatti attraverso il dialogo diretto con il popolo piuttosto che sui dati dei rapporti ufficiali. L’assenza di indagini sui fatti reali condotta in modo trasparente è causa, in Cina, di molti problemi.
D. Vorrei porre una domanda a proposito di quanto scritto nel Memorandum per una Effettiva Autonomia per Tutti i Tibetani, in cui si parla della protezione dei diritti delle persone di etnia Han che vivono in Tibet. Ottenuta l’autonomia, riconoscerebbe agli Han attualmente residenti in Tibet il diritto di continuare a vivere nel paese?
R. I cinesi erano in Tibet anche prima del 1950. Per esempio, nella mia terra natale vi erano molti cinesi, anche musulmani. Perciò, in futuro, i cinesi continueranno certamente a vivere in Tibet. Ciò che è importante e pertinente ricordare è che, per fare un esempio, nella Mongolia Interna la popolazione mongola è diventata una minoranza. Se questo dovesse accadere anche in Tibet, non esisterebbero più le premesse per parlare di autonomia nazionale.
In secondo luogo, la presenza in alcune città del Tibet di un gran numero di cinesi contro un esiguo numero di tibetani comporta il cambiamento e la degenerazione delle nostre tradizioni. Dobbiamo valutare questo fattore. A parte questo, non vi è motivo per cui gli amici cinesi non possano vivere in tutta sicurezza e felicità. Siamo tutti esseri umani.
D. Vorrei chiedere al Grande Maestro come mai la sua descrizione del vecchio Tibet – dipinto come un’armoniosa società buddista – differisce in modo così radicale dalla descrizione che ne fa il governo cinese che parla di una demoniaca società di schiavi. Esistono molti dipinti e altri materiali visivi che documentano la crudeltà e l’ingiustizia di una società schiavista. Può spiegare il motivo di questa grande diversità di vedute?
R. È vero che il Tibet del passato, prima del 1950, era arretrato e, in termini generali, feudale. Nessun tibetano afferma che la vecchia società era il paradiso. Oggi, nessun tibetano, dentro o fuori il Tibet, pensa o sogna un ritorno alla vecchia società. Però, la descrizione che ne dà il governo cinese è esagerata. Alcuni cinesi mi hanno raccontato che, assistendo ad alcuni filmati sulla storia del Tibet prodotti dal governo, la gente rideva perché non li riteneva veritieri.
Durante la Rivoluzione Culturale si diceva che essa era un grande successo, ma col passare del tempo, quando non fu più possibile nascondere la realtà, i cinesi cambiarono opinione. Allo stesso modo, i fatti di Piazza Tienanmen sono noti a tutto il mondo ma il governo cinese sembra voler far credere che in realtà non successe nulla. È importante quindi che voi conduciate delle ricerche in modo scientifico e obbiettivo.
Dico sempre anche ai tibetani di non prendere delle decisioni solo sulla base di quanto ho detto, ma di documentarsi personalmente. Dal punto di vista di un praticante buddista, dovremmo vagliare anche gli insegnamenti del Buddha.
D. Se il governo cinese le consentisse di tornare in Tibet e garantisse l’autogoverno del paese, quale sistema politico le piacerebbe vedere attuato in Tibet?
R. Deciderebbero i tibetani in Tibet, soprattutto gli intellettuali, con voto di maggioranza, cercando la verità dai fatti. In esilio, negli ultimi cinquant’anni, la nostra amministrazione è gestita in modo democratico.
D. Il governo cinese la critica duramente perché lei chiede che in un futuro Tibet autonomo non sia presente l’esercito. Le autorità governative dicono che questo prova che la sua richiesta di autonomia è in realtà una forma d’indipendenza mascherata. È sempre valida la sua richiesta circa l’assenza di truppe militari all’interno del Tibet?
R. Ho sempre detto con chiarezza che in un contesto di autonomia gli Affari Esteri e la Difesa sarebbero di competenza del governo centrale. In passato ho reso manifesto il mio sogno di trasformare il futuro Tibet una Zona di Pace, con amichevoli e pacifiche relazioni gli stati vicini, India, Nepal e tutti gli altri. Penso che non solo il Tibet, ma tutti gli stati del mondo dovrebbero essere demilitarizzati, non ho dubbi su questo punto.
D. A giudicare da come stanno le cose oggi, le possibilità di una soluzione pacifica del problema tibetano finché il Dalai Lama è in vita sono praticamente zero. Posso chiedere quali prospettive Sua Santità vede per il Tibet?
R. Divido gli anni che vanno dalla creazione della Repubblica Popolare Cinese ai nostri giorni in quattro periodi: quello di Mao Zedong, quello di Deng Xiaoping, quello di Jiang Zemin e quello di Hu Jintao. In ognuno di essi, sulla base della reale situazione di ogni momento, sono avvenuti molti cambiamenti. Ritengo quindi che anche la politica nei confronti delle etnie possa cambiare, deve cambiare. Non ritengo impossibile che si possa arrivare a una soluzione della questione tibetana di vantaggio reciproco e non penso che non sarà necessario attendere molti anni.
Alcuni membri del Partito che in passato hanno lavorato in Tibet e molti intellettuali cinesi hanno affermato che la politica attualmente esercitata nei confronti delle minoranze è sbagliata e deve essere rivista. Ritengo quindi possibile un cambiamento e la svolta avverrà in un futuro non troppo lontano.
Fonti: ICT – Phayul