10 settembre 2010. Il dissidente cieco cinese Chen Guangcheng è stato rilasciato oggi dopo oltre quattro anni di prigione ma immediatamente rinchiuso nella sua abitazione insieme alla moglie e ad altri parenti. Lo hanno affermato attivisti democratici che sono riusciti a mettersi in contatto con alcuni membri della sua famiglia.
In brevi dichiarazioni raccolte da Radio Free Asia (Rfa) poco dopo che era uscito dalla prigione, il dissidente ha denunciato di essere stato torturato “molto, soprattutto nel 2007″, cioè nel primo periodo di detenzione. Chen Guangcheng è stato proposto quest’anno per il Nobel per la Pace da un gruppo di deputati del Congresso Usa.
Nel 2005 fu tra i primi a denunciare che a Linyi, nella provincia orientale dello Shandong, le autorità locali avevano costretto almeno 7.000 donne, alcune in avanzata gravidanza, ad abortire per rispettare le quote imposte dal governo centrale nel controllo delle nascite. Per individuare le donne incinte, secondo le denunce di Chen e di altri attivisti democratici, migliaia di persone furono arrestate arbitrariamente e picchiate selvaggiamente e almeno cinque di loro rimasero uccise. Chen, 39 anni, cieco per malattia congenita, dopo aver deciso di occuparsi dei diritti civili ha studiato da solo legge, diventando uno dei promotori del “movimento degli avvocati” che è stato il portavoce del dissenso cinese negli ultimi cinque anni. Nel 2006 l’attivista fu arrestato per aver partecipato ad una manifestazione di protesta contro gli aborti forzati e il silenzio delle autorità sulla vicenda, che ebbe una vasta eco sulla stampa internazionale. Accusato di “incitamento alla distruzione della proprietà e disturbo della quiete pubblica”, fu condannato a quattro anni e tre mesi di prigione. Nelle brevi dichiarazioni rilasciate oggi appena uscito dal carcere di Linyi, Chen ha anche confermato che in prigione si sono aggravate le condizioni della gastrite cronica della quale soffre da alcuni anni.
“Voglio solo ringraziare tutti gli amici che si sono preoccupati per me, in tutto il mondo”, ha aggiunto. “Tutto il villaggio di Dongshigu, nel quale risiede, è circondato dalla polizia e a lui e ai suoi parenti più stretti viene impedito di uscire di casa”, ha dichiarato all’ANSA l’avvocato democratico Xu Zhiyong di Pechino. “Non sono riuscito a parlargli direttamente, il suo telefono cellulare, quelli della moglie e dei parenti più stretti sono stati bloccati”, ha aggiunto Xu. La circostanza è stata confermata da alcuni giornalisti stranieri, costretti dagli agenti ad allontanarsi senza poter entrare nel villaggio. Secondo il gruppo umanitario Human Rights Watch (Hrw) la polizia ha comunicato alla moglie del dissidente, Yuan Weijing, che la loro abitazione sarà costantemente controllata con telecamere a circuito chiuso, in funzione per 24 ore al giorno. Hrw afferma che si tratta di restrizioni “che non hanno alcuna base” nella legge cinese. “Gli attivisti – prosegue il gruppo in un comunicato diffuso oggi a Pechino – vengono regolarmente sottoposti a questo tipo di misure per le quali hanno coniato il termine ‘ruan ji’ (detenzione morbida)”. “Il governo cinese – conclude Hrw – ha un’occasione per dimostrare che rispetta veramente la legge, mettendo fine alla persecuzione di Chen e della sua famiglia”.
Fonte: Laogai Research Foundation (www.laogai.it)