Cina: cambiamenti in vista?

di Piero Verni

(Il Riformista – 15 ottobre 2010)

La risposta, almeno per il momento, è stata come da copione. Da vecchio copione. Pechino ha reagito all’assegnazione del Nobel per la Pace al dissidente Liu Xiaobo con la consueta durezza. L’ambasciatore di Oslo in Cina è stato convocato dal ministro degli esteri cinese il cui portavoce ha dichiarato che questo Nobel è “… un tentativo di attacco contro la nostra Nazione”. Una visita della ministra norvegese Lisbeth Berg-Hansen, prevista da mesi, è stata cancellata. La moglie di Liu messa agli arresti domiciliari e quanti volevano festeggiare il primo cittadino cinese ad avere ricevuto il prestigioso Premio portati in prigione. Infine la versione in lingua inglese del “Quotidiano del Popolo”, ha tuonato contro “l’arrogante” comitato del Nobel e definito “blasfema” la sua scelta. Insomma tutto sembrerebbe andare come di norma. La solita chiusura di Pechino a qualsivoglia critica e l’altrettanto solita reazione esasperata.

Eppure, forse, le cose non stanno proprio così e qualcuno nelle stanze di Zhongnanhai (il quartier generale del Partito Comunista) potrebbe non essere d’accordo con queste posizioni. E’ di ieri la lettera aperta che un gruppo di ex quadri del PCC ha pubblicato on line in cui si chiede senza mezzi termini che cessino le censure sulla stampa e sia consentito ai giornalisti di poter svolgere il loro lavoro senza l’incubo di ripercussioni di natura giudiziaria. Il documento, del tutto inconsueto sia per il contenuto sia per la forma, è firmato da 23 esponenti comunisti e anche se non sembra avere una diretta connessione con il Nobel a Liu Xiaobo, è comunque un segno che qualcosa potrebbe star maturando ai vertici del comunismo cinese che nel 2012 terrà il suo XVIII congresso nel corso del quale dovranno essere eletti i rappresentanti delle tre principali cariche: il Segretario Generale del Partito, il Presidente della Repubblica e quello della Commissione Militare Centrale.

Questa lettera in qualche modo va però messa in relazione alla censura che ha circondato una recente intervista rilasciata dal premier Wen Jiabao all’emittente televisa CNN. Nel corso del colloquio con il giornalista Fareed Zakaria, Wen aveva affermato senza mezzi termini che è arrivato il momento di affiancare alle aperture economiche anche importanti riforme politiche a cominciare dalla libertà di parola. Per un paio di settimane di queste dichiarazioni sulla stampa cinese non è apparsa una virgola e il presidente Hu Jintao, chiuso in un algido silenzio, si è ben guardato dal commentarle. Oggi però alcuni quotidiani hanno rotto il silenzio e dedicano diversi articoli a quanto dichiarato dal premier alla CNN. E’ come se stesse venendo repentinamente alla luce una sorta di fronte “progressista” in grado di dare battaglia alla sessione plenaria del comitato centrale del Partito Comunista che si aprirà domani.

Potremmo quindi trovarci di fronte ad uno scenario molto simile a quello dei primi anni ’80 quando Hu Yaobang, l’allora Segretario Generale del PCC, premeva per dar vita ad una stagione di riforme politiche e Deng frenava pensando che la colossale riforma dell’economia cui stava lavorando fosse più che sufficiente. Forse in quegli anni la Cina fu davvero vicina ad accogliere al suo interno elementi di democrazia reale ma poi nel 1987 Hu Yaobang venne deposto e le cose andarono come andarono. Adesso qualcosa delle atmosfere di quel periodo è sembrato riemergere nell’intervista di Wen Jiabao alla CNN e non sarebbe male, visto come stanno evolvendosi le cose, andarsi a rileggere con attenzione l’articolo apparso il 15 aprile di quest’anno sul “Quotidiano del Popolo” nel quale il primo ministro non solo rivendicava con orgoglio di aver lavorato a fianco di Hu Yaobang per due anni ma, nel ventennale della sua morte, lo ricordava con parole commosse e affettuose.

Certo è un po’ presto per ritenere che Pechino stia per rinnegare quello che è stato fino ad ora un dogma assoluto. Vale a dire l’idea che più si apre la Cina al mercato, alle sue meraviglie ma anche alle sue turbolenze e alle sue insidie, più si deve aumentare il controllo politico sulla società. Non dimentichiamo che lo spettro della dissoluzione dell’URSS non ha mai smesso di aleggiare su Zhongnanhai. E tutti hanno sempre imputato la caduta dell’impero sovietico all’azzardo gorbacioviano di aver voluto coniugare insieme aperture economiche e politiche. Adesso però le cose potrebbero essere sul punto di cambiare. Siamo, dopo un lungo periodo di coesione, di fronte ad una spaccatura all’interno della dirigenza cinese? Ad un nuova contrapposizione tra una linea “riformista” ed una “conservatrice”? Potrebbe non essere eccessivamente azzardato pensarlo.

In ogni caso lo vedremo presto. Forse anche nelle prossime ore, quando si aprirà la quinta sessione plenaria del Comitato Centrale del Partito Comunista.

Piero Verni

(Il Riformista, 15 ottobre 2010)