E il probabile successore di Hu Jintao prova a scalare la nomenclatura
di Marco Del Corona
(Corriere della Sera, 16 Ottobre 2010)
L’hotel Jingxi non è un bunker. Ma il Comitato centrale del Partito comunista, 371 tra membri permanenti e a rotazione, rischia di viverlo così. Il plenum, appuntamento annuale di definizione delle politiche del Pcc, si è aperto lì ieri e cade in un momento gonfio di inquietudine. L’assegnazione del Nobel per la Pace al dissidente Liu Xiaobo ha scatenato l’ira di Pechino dando nuovi argomenti ai sostenitori del complotto anti-cinese dell’Occidente. Il tira e molla sulla rivalutazione del renminbi rischia d’intensificarsi ulteriormente. E si moltiplicano le sollecitazioni ad avviare riforme politiche, tema cui ha fatto riferimento più volte il premier Wen Jiabao: ancora ieri, dopo un documento sulla libertà di stampa, una seconda lettera firmata da circa 200 intellettuali definiva “Una splendida scelta” il Nobel a Liu Xiaobo e ne invocava la liberazione.
L’agenda sarebbe in realtà quasi esclusivamente economica. C’è da impostare il nuovo paino quinquennale, 2011-2015. Sui media ufficiali si leggono articoli che equiparano questa plenaria a quella del dicembre 1978, quando Deng Xiaoping lanciò le rifirme economiche che hanno plasmato la Cina degli ultimi trent’anni. Con la “seconda riforma” si passerà invece dal “modello della sopravvivenza” al “modello dello sviluppo”, e in gioco c’è un impulso al mercato interno tale da poter sostenere ancora una crescita record. Tuttavia a due anni dal congresso del Partito che dovrà investire la nuova leadership, l’attenzione si punta su Li Jinping, attuale vicepresidente e considerato il successore in pectore di Hu Jintao alla guida del Partito e dello Stato.
L’anno scorso il plenum si era concluso senza che Xi, 57 anni, denisse promosso alla vicepresidenza della Commissione centrale militare, un passaggio decisivo per decifrare la sua stessa marcia verso il vertice. E le dietrologie si sono sprecate. Figlio di un vicepremier solidale di Mao Zedong ma poi purgato durante la rivoluzione culturale, Xi – viso gioviale, modi talvolta un po’ troppo diretti – dal 2012 dovrà gestire il laborioso appianamento delle sperequazioni economiche e sociali e un riequilibrio complessivo dello sviluppo cinese. A ridosso del plenum, almeno tre “incidenti di massa” in Sichuan, Guanxi e a Shanghai, gli ennesimi, con disordini, feriti e una vittima, hanno ricordato – se mai fosse stato necessario – le fragilità del momento.
A complicare lo scenario dei quattro giorni di consesso, l’eventuale dibattito sulle aperture politiche. Wen Jiabao, nelle sue ripetute perorazioni, ha più volte invocato una non meglio definita democratizzazione del sistema. Due lettere in meno di una settimana hanno chiesto la fine della censura e una stampa libera, più la scarcerazione di Liu Xiaobo e “di tutti i prigionieri politici e di coscienza”. “L’Occidente ci aiuti, i governanti cinesi si devono adeguare ai valori universali”, ha dichiarato all’Ansa uno dei firmatari del secondo documento, Xu Youyu. Nessuno degli osservatori delle segrete cose del Partito ritiene possibile un ritocco alle prassi politiche del partito guida, forte dei suoi 78 milioni di iscritti. Tuttavia, dietro le porte chiuse del plenum il dibattito potrebbe essere più vivace di quanto si potesse immaginare anche solo poche settimane fa.
Marco Del Corona
(Corriere della Sera, 16 ottobre 2010)