Oslo, 10 dicembre 2010 (Repubblica.it). Una sedia vuota per il Premio Nobel per la Pace a Oslo, in una cerimonia simbolica che è un colpo fortissimo all’immagine della Cina. Il diploma nel quale si attesta il riconoscimento al dissidente Liu Xiaobo, bloccato agli arresti dalle autorità di Pechino, viene appoggiato sulla seggiola dove campeggia un ritratto dell’intellettuale cinese. A parlare in sua vece è l’attrice Liv Ullmann, che legge l’ultimo discorso di Liu, intitolato “Non ho nemici”, pubblicato il 23 dicembre 2009, due giorni prima della condanna a 11 anni di carcere per istigazione alla sovversione.
Dopo aver posto il diploma rilegato del Nobel per la Pace 2010 sulla poltrona vuota del vincitore, il presidente del Comitato per il Nobel, Thorbjoern Jagland lancia un appello: Liu Xiaobo non ha fatto nulla di male e Pechino deve liberarlo. “Liu ha solo esercitato i suoi diritti civili”, afferma Jagland ricordando che la costituzione della Cina garantisce ai suoi cittadini “libertà di parola, di stampa, di riunirsi e di manifestare” e sottolineando che “negli ultimi 100-150 anni i diritti umani e la democrazia hanno guadagnato una posizione sempre più forte nel mondo”.
Intanto a Pechino, dove il governo bolla la premiazione come “una farsa politica” che “non farà mai vacillare la determinazione del popolo della Cina lungo la via cinese al socialismo”, regna una calma apparente. I servizi televisivi trasmessi sulla vicenda da Bbc, Cnn e altre emittenti internazionali risultano oscurati, sul web la censura è pressoché totale: i siti delle stesse testate sono irraggiungibili da giovedì, quello della Commissione per il Premio Nobel è bloccato da settimane. Oscurato, naturalmente, anche l’appello rivolto da Barack Obama che oggi torna a chiedere la liberazione dell’intellettuale cinese spiegando che rappresenta “valori universali” e “merita il Nobel molto più di me lo scorso anno”. A sollecitare il rilascio immediato di Liu è poi anche il capo della diplomazia europea, Catherine Ashton.
Pechino nel frattempo è pattugliata come non mai da forze dell’ordine e poliziotti in borghese che reprimono un tentativo di manifestazione. Sotto controllo in particolare Piazza Tien An Men e la casa dove due mesi fa la moglie di Liu Xiaobo, Liu Xia, è stata sottoposta agli arresti domiciliari. Qui le forze dell’ordine allontanano anche un gruppo di diplomatici tedeschi che voleva incontrare la donna. Sotto sorveglianza gli uffici delle Nazioni Unite. Proprio davanti alla sede dell’Onu arrivano dei mezzi della polizia che disperdono un gruppo manifestanti che si erano dati appuntamento per dimostrare in favore di Liu Xiaobo. “C’era un nutrito gruppo di persone davanti alla nostra sede”, racconta un responsabile dell’Onu che chiede l’anonimato, sottolineando che erano “molti di più rispetto agli anni passati”. Sorvegliati con discrezione anche i dintorni dell’ambasciata norvegese.
L’ulteriore giro di vite scattato oggi fa seguito a un’azione di repressione e controllo che nelle ultime settimane è andata via via crescendo. Tutti i relatori cinesi – soprattutto avvocati esperti di diritti umani – invitati al “Rule of Law Dialogue” promosso ieri dalla rappresentanza Ue a Pechino sono stati trattenuti dalle autorità; una piccola pattuglia che va ad aggiungersi ai circa 250 attivisti dei diritti umani che secondo Amnesty International la polizia cinese ha fermato o sottoposto a sorveglianza negli ultimi due mesi, impedendo loro di lasciare il Paese nel timore che potessero recarsi a Oslo a manifestare solidarietà a Liu, detenuto in una prigione del nordest della Cina.
A fare da sfondo alla repressione delle forze dell’ordine cinesi, una campagna stampa che in questi giorni ha dipinto la scelta di premiare Liu Xiaobo come “un tentativo di processare la Cina”. “Oggi in Norvegia andrà in scena una farsa intitolata ‘La Cina sotto processo’ – si legge nel numero in edicola stamattina del quotidiano cinese Global Times – Stanno tentando di imporre alla Cina valori stranieri, cercano di descrivere ‘l’imbarazzo cinese’ ma, per quanto siano forti le opinioni dell’Occidente, non riusciranno a imbrogliare il popolo”. “L’assegnazione del premio a Liu Xiaobo dimostra le sinistre intenzioni dell’Occidente- scrive in un editoriale il Quotidiano del Popolo – e se quei pochi galantuomini che stanno ad Oslo, godendo dell’appoggio di alcune potenze occidentali, pensano di ottenere un applauso per via della fama che circonda il Premio Nobel, si sbagliano di grosso!”.
In questo clima di muro contro muro, da segnalare l’iniziativa di un gruppo di Premi Nobel per la Pace tra i quali figurano F.W. De Klerk, Jodi Williams, Shirin Ebadi, Maried Maguire, Elie Wiesel, John Hume, Betty Williams e l’organizzazione IPPNW, che ha sottoscritto una dichiarazione indirizzata al governo cinese offrendosi di fare da mediatori per l’avvio di negoziati volti a ottenere una rapida liberazione d Liu Xiaobo. “Noi sottoscritti, Premi Nobel Per la Pace – si legge nell’appello – lodiamo la Repubblica Popolare Cinese per l’espansione della libertà economica che ha consentito un considerevolmente miglioramento della vita di milioni di cittadini cinesi. Crediamo che una più vasta diffusione delle libertà umane contribuirebbe ulteriormente al successo e alla felicità del popolo cinese”.
Fonte: Repubblica.it – 10 dicembre 2010
E PECHINO SI INVENTA IL “PREMIO CONFUCIO”
Nel tentativo di sminuire la portata e il significato del Nobel a Liu Xiaobo, la Cina ha inventato il proprio Premio per la Pace, denominato “premio Confucio”, creato per “interpretare i punti di vista del popolo cinese”. La cerimonia si è svolta a Pechino il 9 dicembre e sembra aver avuto come primo vincitore il taiwanese nazionalista Lien Chan, governatore di Taiwan dal 1990 al 1993, definitivamente sconfitto nelle elezioni del 2000 e, dal 2005, in stretto contatto con la dirigenza di Pechino. La formula dubitativa è d’obbligo in quanto i dirigenti dell’ufficio di Lien Chan, raggiunti telefonicamente il giorno 8 dicembre dai giornalisti del New York Times, hanno dichiarato di non essere a conoscenza dell’evento e di non essere stati contattati da nessuno. Sembra che, in effetti, non essendosi presentato il candidato prescelto alla consegna del premio, il riconoscimento sia stato assegnato a una bambina di 6 anni “perché i bambini simboleggiano la pace e il futuro”.
A onor del vero, il Premio Confucio è il secondo riconoscimento voluto dalla Cina dall’8 ottobre, giorno dell’assegnazione del Nobel a Liu Xiaobo. Tre settimane dopo quella data, una non meglio specificata “Fondazione per l’Armonia nel Mondo”, creata da un uomo d’affari cinese, ha istituito il premio “Armonia nel Mondo”, ufficialmente per celebrare il 65° anniversario dell’istituzione delle Nazioni Unite. Del premio sono stati insigniti un ex Ministro della Difesa e Chi Haotian, un generale oggi in pensione che nel 1989 diresse le operazioni di repressione degli studenti di Piazza Tienanmen.
Scrive Rebecca Novick sull’Huffington Post del giorno 8 dicembre: “Di questo passo, chi potrebbero essere i futuri vincitori del premio Armonia nel Mondo e del premio Confucio? Che ne direste di Zhang Qingli, Segretario del Partito nella Regione Autonoma Tibetana? Il suo contributo alla pace e all’armonia comprende la direzione delle azioni di repressione attuate contro i tibetani nel 2008, con l’autorizzazione a sparare in modo indiscriminato, a far ricorso alla tortura, all’arresto arbitrario e all’intimidazione. Oppure potrebbe essere premiato l’ex capo della sicurezza, Luo Gan, l’ideatore delle campagne “colpisci duro”, che ha garantito pace e armonia aumentando il numero delle esecuzioni e perseguitando i praticanti del gruppo Falun Gong. Forse il premio potrebbe andare a Li Changchung, Ministro della Propaganda, che mantiene la pace e l’armonia attraverso il controllo e la censura sull’informazione e che è implicato nelle azioni di “hackeraggio” informatico esercitate nei confronti di Google.
Fonti: The NewYork Times – The Huffington Post