Wen a New Delhi. Ma non è Cindia.

di Matteo Tacconi

(Europaquotidiano.it, 17 dicembre 2010)

 

 

Quattrocento uomini d’affari con il premier cinese. Ma tra i due big asiatici resta la diffidenza.

Una delegazione impressionante, quella che il primo ministro cinese, Wen Jiabao, s’è portato dietro ieri a New Delhi: 400 uomini d’affari. Quasi il doppio dei 215 che avevano seguito Obama durante la sua trasferta di novembre. Sei e dieci volte, rispettivamente, dei 60 e dei 40 che hanno accompagnato in India il presidente francese Nicolas Sarkozy (a New Delhi dieci giorni fa) e il primo ministro britannico David Cameron, giunto a luglio. La più che nutrita pattuglia cinese chiarisce senza lasciare scampo ai dubbi lo scopo della visita di Wen, che durerà tre giorni: affari, affari e ancora affari.

Cina e India, come riporta la stampa, firmeranno contratti che riguardano un’ampia gamma di comparti – energia, siderurgia, alimentare e telecomunicazioni – e che s’aggirano sui 16 miliardi di dollari. La missione di Wen a New Delhi aggiunge nuova linfa a una dinamica che durante gli ultimi dieci anni ha portato a un vistoso potenziamento delle relazioni economiche tra i due giganti asiatici. Quest’anno, si stima, il commercio bilaterale toccherà quota 60 miliardi. Dieci anni fa era di appena due miliardi. Sia i cinesi che gli indiani, ieri, hanno mostrato l’intenzione di proseguire sul sentiero della cooperazione, mettendoci anche un po’ di retorica. Wen ha affermato che «il XXI secolo sarà il secolo dell’Asia e India e Cina possono raggiungere grandi risultati». Il ministro indiano del commercio, Anand Sharma, ha ribadito che «in meno di vent’anni Cina e India diventeranno due delle tre economie più forti al mondo».

A New Delhi è stata inoltre annunciata l’istituzione di un meccanismo regolare di visite a livello di capi di stato e governo, nonché la creazione di una linea diretta telefonica tra gli uffici dei primi ministri. Cooperazione economica, dunque. Ma anche dialogo politico. Che Cindia si stia davvero materializzando? «Bisogna fare attenzione, quando si parla di questo. Perché se è vero che l’economia è la parte positiva dei rapporti tra Pechino e New Delhi, a livello politico rimangono tensioni e diffidenze. Dietro la retorica della coesistenza – spiega a Europa Carlo Buldrini, giornalista e scrittore con trent’anni d’India alle spalle – c’è una sostanziale rivalità, alimentata in buona misura dalle controversie di frontiera, tutt’ora aperte, che nel 1962 portarono allo scontro armato ».

A proposito di controversie territoriali, proprio ieri s’è discusso, senza grandi risultati, dei cosiddetti stapled visa, i “visti spillati”, questione che suscita notevoli attriti. «Si tratta – spiega Buldrini – dei visti che le autorità cinesi rilasciano ai cittadini del Kashmir indiano. Visti che non vengono stampati sui passaporti, ma su un foglio a parte. Come a dire che Pechino non considera il Kashmir parte integrante dell’India». A dispetto degli accordi e delle strette di mano di ieri anche il fronte economico è più complesso di quanto si possa credere.

Ragiona Buldrini: «I rapporti commerciali hanno registrato grandissimi progressi, ma da parte indiana permangono perplessità. Il fatto è che la bilancia commerciale, per l’India, è in rosso. Nel 2005 il saldo negativo era inferiore ai quattro miliardi, oggi siamo arrivati alla cifra record di sedici miliardi. New Delhi è consapevole che nessuna compagnia occidentale può fornire prodotti a prezzi vantaggiosi come quelli che applicano le industrie cinesi. Ma ritiene anche che questo disavanzo inizi a essere insostenibile. Tant’è che ieri ha chiesto a Pechino di aprire maggiormente il suo mercato ai suoi beni di punta, quelli informatici e farmaceutici indiani, le cui esportazioni verso la Cina incontrano diversi ostacoli di natura burocratica». Cindia – posto che questa prospettiva esista – si avvicina, ma rimane ancora molto lontana.

Matteo Tacconi

(Europaquotidiano.it, 17 dicembre 2010)