GELO FRA HU JINTAO E IL CONGRESSO USA. “NON CREATE TENSIONI SU TIBET E TAIWAN”

Protesta_a_WashingtonWashington, 21 gennaio 2011 (Repubblica.it). Diritti umani, libertà religiosa, aborti forzati, pirateria industriale, concorrenza sleale, manipolazione del cambio: sottoposto a una raffica di accuse nella sua visita al Congresso degli Stati Uniti, il presidente Hu Jintao ha perso per un attimo il suo proverbiale aplomb. All’ennesima critica sulla sottovalutazione del renminbi è sbottato: “Non è quello il problema, alla radice degli squilibri commerciali sta il fatto che noi siamo più produttivi di voi”.  Così riferisce il leader repubblicano John McCain, presente alla scena. Perché giornalisti non ce n’erano. A noi, ivi compresa la stampa parlamentare che segue sempre il Congresso, per un giorno il Campidoglio è diventato eccezionalmente off limits. Il “metodo cinese” è riuscito a imporsi nella capitale della più grande liberaldemocrazia occidentale. Niente testimoni dei media all’appuntamento tra Hu e il Congresso, è la condizione posta dalla delegazione cinese, per “evitare che la stampa si comporti male” (testuale, così ha riferito l’ufficio stampa del Congresso).

La terza giornata della visita di Stato in America infatti si è rivelata la più difficile. Rispetto al summit della vigilia, con Barack Obama alla Casa Bianca, il Congresso ha accolto il leader cinese con molta più ostilità. Il presidente della Camera, il repubblicano John Boehner la sera prima aveva già fatto uno sgarbo protocollare rifiutandosi di andare alla cena di gala in onore dell’ospite straniero. Ieri quando Boehner si è trovato di fronte Hu Jintao alla Camera gli ha letto una dichiarazione dura: “Siamo preoccupati per le violazioni dei diritti umani in Cina, inclusa la negazione della libertà religiosa e il ricorso agli aborti forzati per imporre la politica del figlio unico. Per le libertà e la dignità dei suoi cittadini i leader cinesi hanno il dovere di far meglio e gli Stati Uniti devono richiamarli alle loro responsabilità”.
La capogruppo dei democratici, Nancy Pelosi, da parte sua ha denunciato davanti a Hu il trattamento inflitto a Liu Xiaobo, il dissidente condannato a 11 anni di carcere che non ha potuto neppure recarsi a Oslo per ritirare il premio Nobel della pace. Una novantina di parlamentari democratici e repubblicani hanno firmato una lettera bi-partisan per denunciare “le persistenti violazioni delle regole del commercio internazionale da parte della Cina”. La lettera si conclude con un monito: “La pazienza dell’America sta per esaurirsi, le nostre aziende falliscono, le nostre fabbriche chiudono e i nostri lavoratori vengono licenziati perché la Cina bara alla concorrenza”.
Hu Jintao ha risposto con un discorso in cui ha ribadito che le relazioni Usa-Cina “hanno raggiunto un’ampiezza e una profondità senza precedenti”, ma che in futuro il miglioramento di questo rapporto richiede “che ciascuno tratti l’altro con rispetto, su un piede di eguaglianza”. Quindi, ha ammonito: “Gli Stati Uniti non alimentino tensioni su Tibet e Taiwan”. Per descrivere il proprio modello economico capitalista e dirigista al tempo stesso, che nella sfida con l’America è uscito rafforzato dall’ultima crisi, Hu Jintao ha usato l’espressione “economia socialista di mercato”, un ossimoro incomprensibile o inquietante per la sua audience negli Stati Uniti. Ha anche sottolineato l’obiettivo di “sviluppare la democrazia socialista e costruire lo Stato di diritto in una nazione socialista”. Ha rassicurato sul fatto che la Cina “non sta lanciandosi in una corsa agli armamenti, non persegue l’egemonia né una politica espansionista”.
Il Congresso gli ha dato un voto insufficiente. “È venuto a farci la lezione, non ad ascoltare”, si è lamentato il deputato repubblicano Keoin Brady del Texas. Stessa musica a sinistra: “Non ci ha fatto parlare”, ha detto il deputato democratico Sander Levin del Michigan. Ma l’attenzione nella capitale era ancora monopolizzata dal gossip sulla cena di gala di mercoledì sera. Oltre ai commenti sull’audace vestito di Michelle Obama, rosso sgargiante come la bandiera della Repubblica Popolare, la lista dei Vip che “ce l’hanno fatta a tagliare il traguardo” è stata passata ai raggi X come un vero organigramma del potere. Una lotta spietata si era consumata tra i banchieri di Wall Street, ma il chief executive di Goldman Sachs è emerso tra i pochi vincitori. Perfino alcuni ministri hanno dovuto farsi da parte per cedere le ambite poltrone a due ex presidenti (Clinton e Carter) e al segretario di Stato Henry Kissinger che 40 anni fa orchestrò il disgelo con Pechino. Al perché ce l’abbia fatta ad essere invitata Barbra Streisand lei ha risposto “perché ho lavorato in un ristorante cinese”. Più caustico di tutti il commento di McCain: “Il premio Nobel della pace 2009 ha offerto la cena mentre il premio Nobel 2010 è agli arresti”.
di Federico Rampini
(www.Repubblica.it)