11 aprile 2011. Europa e Stati Uniti chiedono alla Cina l’immediato rilascio dell’artista cinese Ai Weiwei (nella foto), noto critico del Partito comunista, scomparso dal 3 aprile quando fu prelevato e portato via dalla polizia mentre si stava per imbarcare su un volo per Hong Kong. Intanto le autorità proseguono gli arresti di dissidenti, ormai detenuti a centinaia anche se meno famosi e spesso ignorati dall’Occidente.
Ai Weiwei è un famoso artista e architetto. Nato nell’agosto 1957, si è diplomato all’Accademia del Cinema e si è poi dedicato alla pittura. Sua è l’idea dello Stadio Nazionale di Pechino, denominato “Nido d’Uccello”, impianto-simbolo delle Olimpiadi 2008. Le sue opere sono state esposte nelle gallerie d’arte e nelle mostre di tutto il mondo, anche in Italia: nel 1999, Ai ha partecipato alla Biennale di Venezia.
Negli ultimi anni è diventato un critico aperto del Partito comunista e del governo. Ha raccolto prove sulle cause del collasso delle scuole nel terremoto del Sichuan e sul numero degli scolari morti, questioni “sgradite” alle autorità. Nel gennaio 2011 il suo studio a Shanghai è stato demolito. Perquisito lo studio, sequestrato il computer, interrogati amici e collaboratori. Nel dicembre 2010 gli è stato impedito di lasciare la Cina poco prima della cerimonia a Oslo per la consegna del premio Nobel della Pace assegnato al dissidente Liu Xiaobo. Il 24 febbraio Ai ha scritto nella sua pagina Twitter: “All’inizio non ho dato importanza alle “Proteste del Gelsomino”, ma poi, grazie alle prese di posizione di quanti le considerano pericolose, ho capito che il “gelsomino” li terrorizza”.
Il suo arresto ha suscitato proteste internazionali e il ministero degli Esteri cinese, dopo giorni di imbarazzato silenzio, il 7 aprile ha risposto che Ai è “sotto indagine per reati economici”, senza meglio spiegare. “La Cina – ha insistito il portavoce del ministero – è uno Stato di diritto… gli altri Paesi non hanno diritto di interferire”.
Markus Ederer, ambasciatore dell’Unione europea in Cina, ha espresso preoccupazione per l’arresto di Ai e ha invitato le autorità cinesi “a non attuare in nessun caso detenzioni arbitrarie”. William Hague, Segretario britannico agli Esteri, ne ha richiesto “l’immediato rilascio” e ha richiamato Pechino al rispetto delle leggi e dei diritti umani quali “prerequisiti essenziali” per la stabilità e la prosperità sociale. Per l’arresto di Ai ha pure espresso “grande preoccupazione” Guido Westerwelle, ministro tedesco agli Esteri. Mark Toner, portavoce del Dipartimento di Stato Usa, ha chiesto a sua vola “l’immediata liberazione” di Ai e ha lamentato che nel Paese è in atto “una serie di sparizioni forzate, detenzioni extralegali, arresti e detenzioni di attivisti per i diritti perché hanno esercitato i loro diritti umani riconosciuti internazionalmente”.
La Cina prosegue gli arresti e le condanne ai lavori forzati di attivisti per i diritti umani e dissidenti, alcuni dei quali poco conosciuti in occidente. Il giorno 8 aprile il gruppo Chinese Human Rights Defenders ha denunciato la condanna dell’attivista di Pechino Wei Qiang a 2 anni di rieducazione attraverso il lavoro, veri lavori forzati ai quali si può essere mandati con una semplice decisione amministrativa, senza processo e senza avere un avvocato. Wei è stato arrestato il 25 febbraio per avere partecipato a una “protesta illegale”, generica denominazione attribuita a Pechino ai pacifici assembramenti convocati da ignoti tramite internet per protestare contro la corruzione e chiedere riforme democratiche.
Si ignora la sorte di Ni Yulan e di suo marito Dong Jiqin, arrestati in un albergo dove vivono dopo la demolizione illegale della loro abitazione di Pechino. L’albergo, è diventato un punto di ritrovo per attivisti e legali che difendono i diritti umani e civili e da tempo la polizia chiede al proprietario di togliere alla coppia elettricità, acqua e collegamento internet, per costringerla a sloggiare.
Sono stati invece rilasciati su cauzione, in attesa del processo, Li Yongsheng e Li Hai, pure di Pechino. Entrambi sono stati arrestati, rispettivamente il 6 marzo e il 26 febbraio, per il sospetto che stessero “causando disordini”, pubblicizzando la Rivoluzione dei Gelsomini e altre forme di pacifiche proteste.
Attivisti per i diritti umani, gruppi politici e religiosi hanno indetto a Hong Kong, il 10 aprile, una marcia che è arrivata davanti agli uffici del governo centrale, per protestare contro la persecuzione in atto (nella foto). E’ stata pure annunciata una raccolta di firme per chiedere il rilascio di Ai e degli altri attivisti arrestati.
Le autorità temono che in Cina possano scoppiare proteste analoghe alla Rivoluzione dei Gelsomini e stanno arrestando tutti i dissidenti e chiunque anche soltanto inneggi a queste proteste. Nell’Assemblea Nazionale del Popolo, svoltasi a marzo, i leader del Partito Comunista Cinese avevano annunciato la volontà di stroncare qualsiasi “disordine sociale” e di riaffermare il ruolo centrale ed essenziale del Partito.
Secondo un articolo pubblicato sul Wall Street Journal, l’arresto, in Cina, di un gran numero di critici del governo, incluso Ai Weiwei, suggerisce che i servizi di sicurezza del paese hanno convinto i leader del Partito a ridefinire i limiti del dissenso politico in modo da consentire al Partito stesso di mantenere, anche nell’epoca di Internet, il suo incontrastato potere. L’arresto, a partire dalla metà di febbraio, di dozzine di avvocati, giornalisti, blogger e di altri attivisti è l’ultimo di una serie di periodici interventi contro coloro che il Partito comunista percepisce come una minaccia.