Dharamsala, 20 giugno 2011. Il 17 giugno le autorità cinesi hanno arrestato due monaci del monastero di Khangmar, a Kardze (Tibet orientale). Come riferisce Tibet Net, i due religiosi, Rinchen Gyatso e Lama Tsering, percorrevano le strade della città gridando slogan inneggianti alla lunga vita del Dalai Lama, all’indipendenza del Tibet. Chiedevano inoltre che fosse invitato a visitare il Tibet il nuovo Kalon Tripa, Lobsang Sangay, e che fosse garantito il rispetto dei diritti umani.
Sono stati immediatamente fermati e portati via dalla polizia. Il governo cinese ha incrementato le misure di sicurezza imponendo nuove restrizioni sia ai laici sia ai monaci ai quali è stato ordinato di non lasciare la città senza regolare autorizzazione. È necessario ottenere un permesso anche soltanto per recarsi all’ospedale per una visita medica o un controllo ed è richiesta la presenza di un funzionario governativo, pena l’arresto.
Si ha notizia di un altro arresto, avvenuto a Kardze il 15 giugno: Ngawang Lobsang, trentasette anni, un monaco del monastero di Dhargyal, è stato duramente picchiato e tradotto in carcere per aver distribuito volantini e foto del Dalai Lama alla folla radunata in gran numero per celebrare il Saga Dawa, la festa che ricorda l’Illuminazione del Buddha. “Inginocchiato e con le mani unite in segno di supplica, gridava ‘Lunga vita al Dalai Lama’ e ‘il Tibet chiede la libertà’” – riferisce una fonte tibetana. Il giorno precedente, 14 giugno, Ngawang si era recato al mercato di Kardze e aveva fatto stampare a sue spese un gran numero di fotografie del Dalai Lama. Durante la preghiera del mattino, i suoi confratelli lo avevano visto pregare per la buona riuscita del suo gesto di protesta.
Proteste anche i giorni 11, 12 e 13 giugno. In piazza non solo religiosi ma anche laici. Una donna di 27 anni, Tenzin Lhatso, ha chiesto a gran voce il ritorno del Dalai Lama e il rispetto dei diritti umani in Tibet. È stata subito circondata da un gruppo di forze di polizia e personale paramilitare, picchiata e arrestata. La stessa sorte è toccata a cinque monache, il 13 giugno.
Il 17 giugno Pechino ha duramente replicato alle accuse di violazione dei diritti umani e della libertà di espressione formulate in sede ONU da alcuni paesi occidentali e da alcune organizzazioni non governative in riferimento al perdurare della difficile situazione a Ngaba e al monastero di Kirti. Il rappresentante cinese ha affermato che la libertà di espressione è prevista e tutelata dalla costituzione cinese e ha dichiarato che i cittadini hanno il diritto di esprimere la loro opinione nel rispetto della sicurezza nazionale. Venendo alla questione del monastero di Kirti, la Cina ha fatto sapere che i monaci dell’istituto religioso hanno deliberatamente provocato una serie di incidenti che hanno indotto la dirigenza del monastero a organizzare alcuni corsi di educazione civile ma ha negato l’esistenza di casi di deportazioni forzate di monaci o laici.
Fonte: Tibet Net