Il Partito comunista cinese viola la legge ma colpisce se stesso

di Wei Jingsheng

20 giugno 2011

 

Washington (AsiaNews) – Negli ultimi tempi abbiamo iniziato a essere molto preoccupati per due casi di giurisprudenza molto importanti. Il primo è la sparizione dell’artista Ai Weiwei, mentre il secondo è il caso dell’avvocato Li Zhuang di Chongqing. Questi due casi sembrano avere molto poco in comune: invece hanno un collegamento diretto e interno. Questo collegamento va cercato nel ritorno della politica del Partito comunista cinese “a sinistra”: passo dopo passo, in Cina sta tornando la dittatura su larga scala dell’era della Rivoluzione culturale. La caratteristica di questa dittatura su larga scala è la rimozione della protezione legale, che viene rimpiazzata dal desiderio capriccioso del Partito. I desideri dei leader comunisti, di tutti i livelli, decidono tutto. Usando una frase onesta della moglie di Mao Zedong, Jiang Qing, possiamo dire che il Partito “è così senza diritto che arriva ad ignorare persino Dio”. Usando la dichiarazione standard del Partito, invece, “non bisogna cercare di usare la legge come uno scudo”.

 

Analizziamo per primo il caso di Ai Weiwei. Persino il Codice di procedura penale cinese recita chiaramente che, quando si priva un cittadino della propria libertà, lo Stato ha il dovere di avvertire per prima cosa la sua famiglia. Altrimenti ci troviamo davanti a una detenzione illegale. Secondo le Nazioni Unite, sono “sparizioni forzate”. Passate due settimane dalla sparizione di Ai, un tempo in cui la sua famiglia non è stata contattata, il Consiglio di Stato cinese e persino alcuni media ufficiali del regime hanno iniziato a chiedersi che fine avesse fatto. Quindi l’autorità dittatoriale che ne ha deciso l’arresto è colpevole di “detenzione illegale”. Non sono sospettati: sono colpevoli evidenti e hanno fornito già le prove del loro errore.

Più avanti potranno cercare di giustificarsi con dei formalismi: ma persino retrodatare la situazione si rivelerà inutile. Due condizioni sono essenziali per commettere questo crimine: limitare o negare la libertà personale e non informare del fatto i membri della famiglia. Secondo il dettame della Procedura penale non importa quale autorità compia questo atto: se risponde a queste due condizioni, è un reato. Da quanto sembra, il ministero cinese degli Esteri e i media ufficiali hanno messo nel mirino il Dipartimento di pubblica sicurezza: sono stati loro ad annunciare l’arresto di Ai Weiwei, e quindi sono loro che hanno fornito la prima prova della detenzione illegale.

Tuttavia, al Dipartimento di pubblica sicurezza tutto questo non importa. Più di dieci anni fa, hanno già usato dei cosiddetti “regolamenti interni” per svuotare di efficacia il Codice di procedura penale. Questo approccio è stato definito “residenza sotto sorveglianza”. Secondo il Codice, si tratta della misura “più leggera” nel campo della restrizione della libertà personale. Questa misura prevede infatti una sorveglianza continua della persona in oggetto, ma che tecnicamente non viene limitata nella propria libertà di movimento. Di conseguenza, questa procedura non richiede l’approvazione di un giudice o di una corte. Dopo tutto, in Cina, questo non vuol dire nulla: la sorveglianza ufficiale non deve essere autorizzata da nessuno.

Nel 1994, il regime comunista cinese mi ha arrestato senza alcuna approvazione da parte del procuratore. Quindi, con il consenso delle maggiori autorità, hanno dato una nuova interpretazione di questa “residenza sotto sorveglianza”. Mi hanno spiegato: “Noi ti abbiamo arrestato e messo sotto sorveglianza. Ma tu vivi fuori da una prigione ufficiale: nei fatti, sei in una residenza”. Combinando questi fattori, hanno creato la nuova figura giuridica. Più avanti, persino i tribunali cinesi sono arrivati a dire che questa non è una privazione della libertà e quindi la pratica giudiziaria ha “legalizzato” questa detenzione illegale.

La polizia che arresta la gente non compie un vero crimine: è il regime comunista che infrange la legge. È l’autorità dittatoriale che, portando avanti queste azioni illegali, infrange per prima la legge. Il Partito comunista cinese ha creato una legge che permette di violare la sua propria legge mentre applica la legge. Sembrano giochi di parole, ma non sono così divertenti. Quando viene applicata la “residenza sotto sorveglianza” nei confronti dei “nemici” all’interno del Partito, viene definita una “doppia designazione”. Ovvero si dice che questi “nemici” debbano confessare “entro un tempo designato in un posto designato”. Non è uguale a quello che accade ai normali cittadini posti sotto la “residenza sotto sorveglianza”?

Il caso di Li Zhuang, avvocato di Chongqing, è ancora più sorprendente. Li ha raccolto le prove della violazione delle leggi da parte del Partito comunista, e può provare come abbia portato avanti delle evidenti ingiustizie. Quindi ha colpito la legge del Partito, quella che prevede di violare il diritto in nome del diritto. Il segretario del Partito di Chongqing, Bo Xilai, lo ha sbattuto in galera. Come si può trattare con questi avvocati, che divengono un ostacolo alle politiche del Partito? Il segretario Bo ha creato una nuova pratica che ha chiamato “auto-incriminazione”. Secondo i dettami della procedura penale, non si può dichiarare una persona colpevole soltanto sulla base di dichiarazioni: servono prove. Tuttavia, il potere del segretario è più forte della legge. Quando decidono che Li Zhuang deve dichiararsi colpevole ecco che questi diventa colpevole, prove o non prove.

Mentre si avvicina la fine della condanna a tre anni per l’avvocato Li, il suo rilascio potrebbe rappresentare molti problemi per il segretario locale. Cosa dovrebbe fare? La risposta è semplice. Se l’avvocato può essere incastrato una volta, perché non potrebbe avvenire lo stesso una seconda volta? La prima era sperimentale, e quindi serviva una condanna emessa da una corte. Ma ora questo non serve più: se dichiara di essere colpevole ecco che diviene colpevole. Anche se è innocente. Questa pratica si incastra perfettamente con la dittatura su larga scala, e persino i caporioni del Partito appoggiano la linea di Bo.

È semplicemente la storia che si ripete. Anche la dittatura di Mao Zedong prima della Rivoluzione culturale ricevette il sostegno di tutta la leadership comunista. Ma, subito dopo, questa dittatura divenne un mostro che divorava se stesso. Gli occidentali definiscono questa pratica “spararsi da soli a un piede”. Il popolo cinese dice invece: “Si muore male come punizione per le azioni malvagie compiute”. Queste persone non capiscono che se applicano misure irragionevoli, prima o poi queste si rivolteranno contro di loro.

Ai tempi di Mao, il presidente cinese Liu Shaoqi pensava che – sostenendo in pieno la linea del Timoniere – si sarebbe salvato dalle epurazioni politiche. Quello che non capiva è che la sua stessa presenza era un ostacolo per gli altri, e che questo bastava per ritenerlo colpevole. Per i leader comunisti che dovranno affermare il proprio potere il problema è lo stesso: come possono sapere che non offenderanno mai, loro o i loro figli, il futuro premier Bo? Se si permette a qualcuno di creare l’istituto della detenzione illegale e gli si permette di prendere decisioni giuridiche che violano la legge, la spada di Damocle penderà sopra la testa di tutti. Quando chi comanda è felice, o infelice, può decidere semplicemente di ucciderti. Come avvenne per Liu Shaoqi o Peng Dehuai; possono arrivare a gettare i tuoi figli in galera proprio come Ai Weiwei o Li Zhuang.

Circa 2500 anni fa, in Cina, il pioniere della legge Shang Yan creò il diritto ma non riuscì a evitare le sanzioni previste proprio dalla sua stessa legge. Sostenere il movimento “Cantiamo in gloria dei rossi e colpiamo i neri” ideato dal segretario Bo non basta a esentare i suoi sostenitori da punizioni future. Fino a che si collabora nella creazione di un diritto che permette alle autorità di violare la legge in nome della legge, ci si mette in una situazione in cui ognuno può arrestare il prossimo senza alcuna ragione legale valida. Prima della Rivoluzione culturale, la popolazione pensava (sbagliando) che le leggi irragionevoli fossero applicabili soltanto agli altri. In realtà vennero usate come prima cosa per sistemare i nemici politici: lo stesso presidente cinese Liu Shaoqi venne gettato in galera, dove morì miseramente. La conclusione è semplice: il grado di un politico non è mai abbastanza alto, e l’oro non è mai abbastanza per metterlo al sicuro.

Questo fu il caso di Zhou Bo, che diede un contributo significativo per stabilire la dinastia han 2300 anni fa. Zhou non puntava al potere, voleva soltanto andarsene in pensione da benestante. Eppure non poteva vivere in pace, nonostante i suoi grandi crediti con la patria e il suo semplice desiderio. E perché? Perché sapeva che avrebbe potuto essere messo da parte senza alcuna ragione. La gente, questo, lo capisce facilmente: sono questi geniali dirigenti che non lo capiscono. Hanno duplicato in maniera cieca gli errori fatti da altri geni diversi anni fa. Ma d’altra parte, a questo mondo esistono sempre degli idioti che si ritengono più intelligenti di tutti gli altri.

Wei Jingsheng

Fonte: AsiaNews