19 luglio 2011. A due anni di distanza dalla violenta repressione delle proteste che nel 2009 infiammarono la regione musulmana dello Xijiang, repressione che si concluse, secondo la stima di Pechino, con la tragica morte di duecento dissidenti uiguri (almeno mille secondo Amnesty International), lunedì 18 luglio nuovi violenti scontri hanno insanguinato le vie della città di Hotan, situata nella parte sud occidentale della regione (nella cartina).
Dalla Germania, dove ha la sua sede, il Congresso del Popolo Uiguro (WUC), il movimento che chiede l’indipendenza e il riconoscimento dei diritti del gruppo etnico di religione musulmana dello Xinjiang, ha fatto sapere che la sparatoria è avvenuta nei pressi del bazar della città dove un centinaio di persone si erano radunate per protestare pacificamente contro la repressione in atto da due settimane e chiedere notizie sui luoghi di detenzione dei propri congiunti in precedenza arrestati dalla polizia. “Le forze di pubblica sicurezza hanno aperto il fuoco sui dimostranti uccidendo almeno venti persone e ferendone seriamente altre dodici, tra cui una ragazzina di undici anni” – ha reso noto il WUC in una dichiarazione alla stampa. “E’ difficile ottenere maggiori informazioni perché le strade che portano a Hotan sono state bloccate, le persone sono perquisite ed è stata imposta la legge marziale” – prosegue il comunicato. Settanta il numero degli arrestati.
Diversa la versione dei fatti fornita dalle autorità cinesi. Secondo l’agenzia di stato Xinhua un gruppo di “ribelli” ha assaltato la stazione di polizia, incendiandola e prendendo degli ostaggi. Citando le parole del Ministro della Pubblica Sicurezza, Xinhua ha reso noto che nel corso dell’intervento armato mirato alla liberazione degli ostaggi hanno trovato la morte due degli ostaggi e un membro della sicurezza. Sul merito di queste dichiarazioni, il Congresso del Popolo Uiguro, nel chiedere alla comunità internazionale di valutare con estremo “scetticismo” la versione dei fatti fornita da parte cinese, ha fatto sapere che, secondo una pratica ormai consolidata, il governo di Pechino ha attribuito alle “tre forze”, il terrorismo, il separatismo e l’estremismo religioso, la responsabilità di quanto avvenuto a Hotan mentre le cause dell’incidente vanno invece cercate nella costante repressione della cultura, dell’identità nazionale e della libertà di espressione della minoranza uigura.
Il WUC ha chiesto al governo cinese di consentire agli organi di stampa internazionali e agli osservatori indipendenti di visitare la regione e investigare liberamente su quanto avvenuto a Hotan. Ha chiesto inoltre che cessi la repressione in atto sul popolo uiguro.
Mentre a Hotan si consumava la tragedia, a Lhasa, davanti al palazzo del Potala, nel corso di una cerimonia per la celebrazione dei sessant’anni della “pacifica liberazione” del Tibet, il vice presidente cinese Xi Jinping, probabile successore di Hu Jintao nel 2013, ribadiva la necessità di annientare ogni possibile attività separatista. “Dobbiamo combattere ogni attività separatista della cricca del Dalai Lama” – ha tra l’altro affermato. “Dobbiamo intervenire contro ogni tentativo mirato a vanificare la stabilità del Tibet e l’unità nazionale”. “Lo straordinario sviluppo del Tibet nell’arco degli ultimi sessant’anni è la prova di un’inconfutabile verità: senza il Partito comunista non ci sarebbero né una nuova Cina né un nuovo Tibet”.
Fonti: Phaul – WUC – Reuters