L’Italia tenta di sedurre il colosso cinese

di Maurizio Caprara

(Corriere.it, 20 luglio 2011)

 

 

SHANGAI – «Abbiamo trovato in Cina comprensione, amicizia, considerazione», ha detto Franco Frattini da un palco dell’Expo di Shangai, la fiera internazionale del 2010 nella quale l’Italia si prefigge di riaprire dal marzo prossimo il proprio padiglione di prodotti e capolavori nazionali già visitato da sette milioni di persone. Il ministro degli Esteri italiano ha garantito che continueranno a lavorare a questo progetto l’ambasciatore a Pechino Massimo Iannucci e il console generale a Shangai Vincenzo De Luca. Ma non è soltanto riproponendo nella fiera il marchio della Ferrari e opere d’arte aviotrasportate che il governo di Silvio Berlusconi punta a ridurre i rischi di un’Italia in posizione troppo marginale nell’immenso mercato cinese. La realpolitik che attira comprensione si sta spingendo quasi ai limiti di quanto l’appartenenza del nostro Paese all’Occidente e all’Unione europea permettono.

SOTTO LE GAMBE DEI GIGANTI – Impossibilitata a competere ad armi pari con giganti come gli Stati Uniti e partner come la Germania, l’Italia prova a passare sotto le gambe dei concorrenti e a raggiungere intese con un interlocutore controverso garantendo disponibilità a intese non scontate. A Pechino, martedì, Frattini ha firmato un accordo in base al quale ai diplomatici cinesi non occorreranno più visti per entrare nel territorio italiano. La sua intenzione, ricorrendo a permessi d’ingresso di validità triennale, è di allargare il raggio delle facilitazioni agli uomini di affari. Quest’anno si prevede che l’Italia emetterà 200 mila visti per cinesi. Nel 2010 erano stati 120 mila. Frattini non nasconde di voler far bella figura con Pechino mettendo sulla piazza europea la nuova disciplina in materia come un esempio da imitare. E la ricerca di acquisire gratitudine dalla nomenclatura cinese non va per il sottile.

I 90 ANNI DEL PARTITO – Quando martedì è andato alla scuola che forma la quinta generazione dei dirigenti del partito guidato in passato da Mao Zedong, il ministro italiano ha affermato di esser lieto di trovarsi lì «nell’anno di due anniversari fondamentali: il 90° anniversario della fondazione del Partito comunista cinese e quello del 150° dell’unità d’Italia». Non risulta che il 21 gennaio scorso il titolare della Farnesina abbia celebrato la scissione di Livorno che nel 1921 diede vita al Partito comunista italiano. A differenza di quando erano giovani, ormai non lo fanno più nemmeno Massimo D’Alema o Pierluigi Bersani. «L’Italia si rende conto che le sue eccellenti relazioni con la Cina possono contribuire a superare le riserve che ancora si registrano in Europa», ha fatto presente Frattini a studenti e dirigenti della scuola, promettendo di dialogare «senza mai ergersi a critici di sistemi altrui. Ciò che ci accomuna è molto più di ciò che ci divide», ha aggiunto elogiando il dodicesimo piano quinquennale cinese.

DAL DALAI LAMA AI SEMINARI – Certo, rispetto al capitalismo i dirigenti del Pcc non sono più quelli di una volta, ma il loro sistema tiene pur sempre in prigione un premio Nobel, Liu Xiaobo. Fa un certo effetto sentire un ministro di centro-destra impiegare accenti che negli anni ’70 in Italia appartenevano a pattuglie marxiste-leniniste. Malgrado la Cina detenga il 25,67% del debito pubblico statunitense, Barack Obama sabato scorso ha ricevuto alla casa Bianca il Dalai Lama ben sapendo che la Repubblica popolare avrebbe definito l’udienza al tibetano esiliato un danno per le relazioni tra i due Stati. Ministro di un Paese del quale la Repubblica popolare possiederebbe il 13% del debito statale, Frattini nella sua visita di questi giorni ha presentato come un successo che nel «partenariato strategico» con l’Italia i cinesi accetteranno «seminari» sui diritti umani. «Perché l’Ue finora ha affrontato il tema soltanto quando esplodono dei casi, e non è stato fruttuoso», ha sostenuto Frattini.

EMBARGO, ARMI E PRINCIPI – L’impostazione è la stessa che Berlusconi adottò a Roma, il 7 ottobre scorso, per ingraziarsi il premier Wen Jebao infastidito, durante le visite in Occidente, dalle lamentele sui diritti umani violati. «I governanti cinesi, come noi, sono fautori della politica del fare e preferiscono affrontare e risolvere i problemi piuttosto che irrigidirsi su questioni di principio», disse il presidente del Consiglio. Così Frattini nel suo viaggio, finora, in pubblico non ha mai citato il Dalai Lama. Nel frattempo ha promesso impegno per «il riconoscimento alla Cina dello status di economia di mercato, che noi sosteniamo con forza anche se qualche partner europeo ha delle difficoltà». E ha confermato che l’Italia vuole la rimozione dell’embargo europeo contro la vendita di armi alla Repubblica popolare. Una sanzione imposta dopo il massacro degli studenti di piazza Tien An Men, nel 1989.

Maurizio Caprara

20 luglio 2011