21 luglio 2011 (AsiaNews). Permane alta la tensione a Hotan, cittadina dello Xinjiang, dopo i duri scontri del 19 luglio tra polizia e manifestanti. Il Congresso mondiale degli Uiguri denuncia che ci sono stati almeno venti uiguri morti (14 pestati a morte e 6 per armi da fuoco) e 70 arrestati. Dura accusa di Rebiya Kadeer, leader del Congresso, che dice che i veri terroristi sono i governanti cinesi.
La massiccia presenza di polizia è visibile solo presso la stazione di polizia Nuerbage, luogo degli scontri, e presso alcuni uffici del governo. Pechino insiste che si è trattato di un attacco terroristico, con gli aggressori armati di coltelli, asce e bombe molotov che inneggiavano ad “Allah unico Dio” e alla “guerra santa” e brandivano bandiere con scritte estremiste, con 18 morti (14 manifestanti, 2 poliziotti e 2 civili) e 4 terroristi arrestati. Il capo della locale stazione di polizia Abulaiti Maitiniyazi dice che gli aggressori erano quasi tutti di fuori città.
Ma il Congresso spiega che la polizia ha aperto il fuoco contro pacifici manifestanti disarmati che poi hanno reagito e la accusano di massacro premeditato. Spiega che i dimostranti protestavano per un ingiusto esproprio delle loro terre e chiedevano notizie dei loro parenti “scomparsi” durante le violenze interetniche del luglio 2009. Rebiya Kadeer, leader uigura incarcerata per anni in Cina per reati d’opinione e costretta in esilio negli Stati Uniti, nega tanto la matrice terrorista della protesta quanto che gli uiguri fossero armati e chiede che “il governo cinese cessi questa sorta di attività terrorista contro un popolo pacifico e rispetti la cultura e l’identità nazionale degli uiguri”. “La Cina – aggiunge – non ha nessun diritto di parlare di ‘attacchi terroristi’, fino a che non consenta ai suoi cittadini la libertà di parola e di riunione”. “Infine, la Cina deve cessare le detenzioni arbitrarie, le esecuzioni ingiuste e la tortura in carcere”.
La Kadeer parla di una regione pronta ad esplodere, con Pechino che depreda lo Xinjiang di petrolio e altre risorse naturali, incoraggia l’immigrazione degli etnici Han che occupano i posti di potere e applica rigide misure di controllo, con divieti e arresti persino contro la pratica e l’insegnamento della loro religione islamica. “Gli uiguri – conclude, parlando all’agenzia Radio Free Asia – non hanno diritti, non hanno lavoro, non hanno denaro, quindi non hanno nulla da perdere”. Nello Xinjiang sono esplosi duri scontri etnici tra gli autoctoni uiguri e gli immigranti Han, nel luglio 2009, che hanno causato almeno 200 morti. Da allora la regione è presidiata dalla polizia, che dice di dovere spesso intervenire contro elementi estremisti islamici, mentre fonti uigure parlano di sistematici soprusi.
Fonte: Asia News, 21 luglio 2011