Dharamsala, 20 ottobre 2011. “Un massiccio numero di soldati in tuta mimetica ed equipaggiati con fucili automatici, spranghe di ferro ed estintori presidiano massicciamente la città di Ngaba affiancati da automezzi della polizia che bloccano le strade”. Questo il racconto di due giornalisti dell’Agenzia France Press, i primi occidentali ad essere entrati nella cittadina da quando sono iniziati i dolorosi episodi di auto immolazione.
Robert Saiget, uno dei due giornalisti di AFP, riferisce che i negozi e i ristoranti sono aperti e che la gente si dedica alle consuete attività quotidiane ma la polizia controlla tutti i veicoli che entrano ed escono dalla città. Ai due reporter non è stato consentito l’ingresso al monastero di Kirti ma hanno visto un gran numero di poliziotti stazionare di fronte all’istituto monastico. Saiget ha inoltre scritto di essere stato fermato, assieme al suo collega, dalla polizia cinese che ha confiscato loro una macchina fotografica e ha cancellato alcune immagini che testimoniavano la massiccia presenza dei militari per le strade di Ngaba. “Potete fotografare il panorama ma non questa strada” – ha detto loro un poliziotto – . Al momento di rilasciarli ha così proseguito: “Siete liberi di andarvene, non fermatevi finché non avete lasciato la Contea”.
Un breve video nel quale è ben visibile la presenza militare ha Ngaba è stato caricato da Saiget su youtube. Questo il sito:
http://www.youtube.com/watch?v=bWNQJTPpkxo
Un comunicato stampa rilasciato dall’omonimo monastero di Dharamsala informa dell’arresto, per ragioni non ancora precisate, di due monaci del monastero di Kirti. Puntsok, 28 anni, è stato arrestato la notte del 17 ottobre dopo essere stato percosso. Il 15 ottobre è stato arrestato Jigme Choepel, originario del villaggio di Soruma. Non si conosce dove sono detenuti e quali sono le loro condizioni. Nel comunicato si legge inoltre che ai monaci è proibito pregare e officiare cerimonie funebri a ricordo di quanti sono morti in conseguenza del compimento di “proteste antigovernative”. Una disposizione emanata dalle autorità cinesi sancisce, in questi casi, la responsabilità delle famiglie e dei leader locali.
In data odierna, un portavoce del Ministero degli Esteri cinese, Jiang Yu, ha negato l’esistenza di un “problema tibetano” e ha affermato che saranno presi “pesanti provvedimenti” per garantire la stabilità della regione e la sicurezza delle persone, delle loro proprietà e dell’ordine sociale.
Fonte: Phayul