Dharamsala, 9 novembre 2011. Continua il pugno di ferro delle autorità cinesi a Ngaba dove la libertà religiosa e i diritti umani dei monaci sono sistematicamente calpestati. Il sito tibetano The Tibet Post pubblica oggi la notizia dell’arbitrario arresto, senza alcun apparente motivo, di altri due monaci del monastero di Kirti, Yonten e Lobe.
Yonten, diciannove anni, è stato prelevato nella sua abitazione la mattina del 4 novembre. Lobe, ventuno anni, è stato arrestato il pomeriggio del 6 novembre. Non si conosce il luogo della loro detenzione. Due monaci del monastero di Kirti in India, intervistati da Tibet Post, hanno riferito che militari e poliziotti cinesi, vestiti in abiti civili, non si limitano a presidiare il monastero ma “ispezionano le abitazioni dei contadini e dei nomadi imponendo alle famiglie l’obbligo di iscrivere i figli di età inferiore ai diciotto anni a scuole cinesi”. Se i bambini già si trovano all’interno di un monastero, i genitori sono costretti a prelevarli e a farli studiare in un istituto scolastico cinese, pena il pagamento di una multa di 3000 yuan per ogni figlio che frequenti una scuola tibetana.
Il giorno 8 novembre, si è appreso da Radio Free Asia che Dawa Tsering, il monaco auto immolatosi a Kardze il 25 ottobre continua a rifiutare di essere curato in un ospedale cinese. Ricoverato all’ospedale di Kardze dopo che i confratelli avevano spento le fiamme, Dawa ha immediatamente espresso la volontà di essere riportato al monastero. Una fonte tibetana ha riferito a RFA che il 7 novembre tre funzionari cinesi accompagnati da un medico si sono recati al monastero offrendo al monaco cure gratuite presso un ospedale cinese. Dawa ha rifiutato ogni assistenza, anzi “in realtà non ha pronunciato una parola”. Secondo la fonte, “Dawa Tsering, ora curato da otto monaci e da un cognato che esercita la professione di medico, si dice dispiaciuto per non essere morto all’istante”.
Da Dharamsala, Ogyen Trinley Dorje, il 17° Karmapa, ha definito “coraggiosi” gli undici tibetani che si sono immolati e ha affermato che “hanno agito per disperazione”, “contro l’ingiustizia e la repressione sotto le quali sono costretti a vivere”. “Alla notizia di ogni immolazione ho provato un grande dolore” – ha detto il Karmapa – “ma per la dottrina buddhista la vita è preziosa e va preservata se vogliamo ottenere qualcosa di importante”. “Noi tibetani siamo numericamente pochi e, di conseguenza, la vita di ognuno di noi è preziosa per la causa del Tibet”. Il Karmapa ha rivolto alla Cina l’appello a dare ascolto alle legittime richieste dei tibetani e ad avviare con loro un dialogo costruttivo anziché cercare di zittirli ricorrendo alla forza.