Dharamsala, 17 novembre 2011. Alcune dichiarazioni rilasciate la scorsa settimana dal Ministero degli Esteri nepalese lasciano presagire tempi ancora più difficili per la comunità tibetana in Nepal. Sudhir Kumar Sah, portavoce del Ministro, ha infatti categoricamente affermato che il governo del Nepal, fedele alla politica di “una sola Cina”, non consentirà all’interno dei suoi confini alcuna attività contraria agli interessi del paese alleato. “Questo significa” – ha precisato Sah – “che il governo è pronto ad abolire ogni facilitazione finora garantita ai tibetani residenti in Nepal, compresa la libertà di movimento”.
Il portavoce ha altresì dichiarato che il governo potrà decidere di chiudere le attività commerciali dei tibetani. Queste gravissime affermazioni avvengono nell’imminenza della visita in Nepal del Primo Ministro cinese Wen Jiabao, prevista per il mese di dicembre 2011. Tuttavia, questa ennesima posizione di compiacenza del governo di Kathmandu nei confronti di Pechino mira a soffocare le proteste di solidarietà dei tibetani con i compatrioti immolatisi in Tibet, culminate con il tentativo di un giovane trentenne di darsi fuoco nel corso di una manifestazione avvenuta nella capitale nepalese lo scorso 10 novembre.
Diverso il tentativo cinese di soffocare il Tibet. Chen Quanguo, nuovo Segretario del Partito e governatore della Provincia autonoma del Tibet, ha dichiarato il 14 novembre nel corso di un incontro con i rappresentanti del Partito comunista in Tibet che Pechino è pronta a spendere 600 milioni di yuan per favorire la “stabilità” del Paese. Con lo stanziamento di questa cifra, il governo intenderebbe garantire ai monaci pensioni, sgravi fiscali, contributi sanitari e sostegno giornaliero. “Il governo assicurerà ai monasteri elettricità, acqua, telecomunicazioni, stazioni radio e TV” – ha detto Chen Quanguo – precisando che “le informazioni saranno fornite attraverso libri, giornali e periodici stampati in lingua tibetana”.
Ma, come riferisce AsiaNews, quello che sembra essere un ponte di dialogo nasconde però un trucco: per “aiutare” tutti i religiosi (circa 50mila nell’area delle 3 province a maggioranza tibetana), il governo vuole proporre la creazione di “monasteri modello”: luoghi di nuova costruzione, chiusi al pubblico, dove ospitare e far lavorare i monaci nell’ambito della loro fede. Dei veri e propri ghetti, secondo una fonte di AsiaNews, che aggiunge: “Qualcuno si farà ingannare, ma non molti”.
E non sono certo disposti a farsi ingannare i seicento dimostranti tibetani che ieri, mercoledì 16 novembre, hanno dato inizio a una serie di manifestazioni che, nello spirito di Lhakar, il movimento di resistenza tibetana, si terranno ogni settimana in questo stesso giorno (nella foto un momento della manifestazione).
Fonti: Phayul – The Tibet Post – AsiaNews