Dharamsala, 24 novembre 2011. Le autorità cinesi della provincia dell’Amdo Golok, Contea di Machen, hanno ingiunto ai monaci del monastero di Ragya (nella foto) di tornare volontariamente alle occupazioni religiose e di porre fine alle loro proteste entro tre giorni, pena severe sanzioni. Nella giornata di domenica 20 novembre, in concomitanza con un’importante cerimonia religiosa, i monaci avevano dispiegato sulla facciata del monastero un grande ritratto del Dalai Lama e due bandiere tibetane.
Gadhen, un monaco proveniente da Ragya ed ora residente nel monastero di Sera, nell’India del sud, ha dichiarato di aver saputo che le autorità cinesi hanno rimosso sia il ritratto sia le bandiere e, al termine di una riunione indetta all’interno dell’istituto religioso, hanno ordinato ai monaci di astenersi da qualsiasi altro gesto di protesta e di tornare alle normali attività entro tre giorni. Al momento non si hanno notizie di arresti.
Del monastero di Ragya si era parlato a lungo nel marzo 2009 quando Tashi Sangpo, un monaco ventottenne si era tolto la vita gettandosi nel fiume Machu. Nei giorni precedenti il 10 marzo, nel monastero, da giorni sotto il costante controllo della polizia, erano stati trovati numerosi volantini di protesta e una grande bandiera tibetana era stata fatta sventolare sul tetto della principale sala di preghiera. Alcuni monaci erano stati arrestati e il monastero completamente isolato. Le forze di sicurezza avevano affermato di aver trovato sia i volantini sia la bandiera nella stanza di Tashi Sangpo. Il giovane monaco, piuttosto che subire l’arresto, si era allontanato furtivamente dal monastero e si era suicidato gettandosi nel fiume. Non appena si diffuse la notizia della sua morte, gli abitanti di Ragya scesero nelle strade con bandiere e striscioni, al grido di “Indipendenza per il Tibet” e “Lunga vita al Dalai Lama”.
In questo clima di grande tensione, Shingsa Rinpoche, un lama tibetano di alto lignaggio in esilio in India e abate del monastero di Ragya, aveva scritto una vibrante lettera alle autorità centrali e locali del governo cinese. Nel documento, Shingsa Rinpoche, strenuo sostenitore dell’indipendenza del suo paese, diceva tra l’altro: “…Quindi il governo cinese ha la principale responsabilità riguardo una soluzione pacifica della crisi. Dovrà inoltre prendere seriamente in esame la sua politica di considerare i tibetani come separatisti”. “I dirigenti della Cina Popolare devono comprendere che da tempo immemorabile in Tibet, perfino i bambini più piccoli tibetani, conoscono il proverbio, “Nel Cielo il Sole e la Luna. Sulla Terra Sua Santità e il Panchen Lama”. “Questa è dunque la verità storica in cui ha fiducia ogni tibetano.
Al contrario, il Partito Comunista Cinese, negli ultimi 50 anni ha creato le basi per la pacifica protesta del popolo tibetano impedendogli di pronunciare il nome e di venerare il suo unico leader spirituale. Questa è una chiara violazione dei diritti umani e religiosi del popolo tibetano. E contraddice le stesse norme della Costituzione cinese e le leggi relative alle autonomie regionali”.
Il dispiegamento di grandi ritratti del Dalai Lama e della bandiera tibetana sono ormai un ricorrente segno di protesta. Il 1° ottobre 2011, 62° anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese, oltre duecento tibetani hanno organizzato una manifestazione di protesta a Serthar, nella Contea di Kardze (Tibet orientale). Testimoni oculari hanno riferito che la protesta è iniziata dopo la rimozione, da parte delle autorità cinesi, di un grande ritratto del Dalai Lama e di una bandiera tibetana da un edificio di quattro piani. Quando la bandiera “è stata gettata per strada”, i tibetani si sono subito radunati in gran numero chiedendo la fine dell’esilio del Dalai Lama e intonando preghiere di lunga vita. Sono stato anche distribuiti volantini in cui si chiedeva ai tibetani di combattere per la loro libertà, per “la loro religione, lingua e cultura”, “in nome della verità”. Copie del medesimo volantino erano state distribuite lo scorso 25 agosto, in occasione di una precedente manifestazione.
Anche il 1° agosto 2011, in aperta sfida ai divieti delle autorità cinesi, era stato posto sul trono del tempio di Kham Lithang un grande ritratto del Dalai Lama. La cerimonia di “enthronement” del capo spirituale tibetano era avvenuta, alla presenza di oltre cinquemila tibetani, nel corso della tradizionale festa religiosa del Jang Gonchoe Chemno che, iniziata il 15 luglio, era proseguita per dieci giorni.
Solo oggi si è appresa la notizia di altri due arresti effettuati al monastero di Kirti: Gyatso, 42 anni, è stato fermato il 21 novembre; Lobsang Gedun, 48 anni, è stato fermato attorno alla metà di ottobre. Non si conoscono i motivi della loro detenzione. La situazione al monastero è sempre molto tesa: un gran numero di militari e almeno duecento camionette della polizia stazionano davanti all’edificio.
Fonti: Phayul – italiatibet.org – Agenzie