di Piero Verni
Il Riformista, 25 novembre 2011
Un’autentica statua di fuoco. In piedi, immobile e avvolta dalle fiamme. Sono le immagini terribili dell’immolazione della monaca Palden Choetso diffuse nei giorni scorsi da un gruppo di sostegno alla causa tibetana. Fotogrammi atroci che più di ogni parola dimostrano quanto la situazione nel Tibet occupato da Pechino sia ben lungi dall’essere normalizzata. Dodici persone che si danno fuoco per protesta in un breve arco di tempo parlano sia della crescente disperazione sia della caparbia volontà dei tibetani di non accettare il dominio cinese. Inoltre domani scadrà l’ultimatum della polizia ai monaci del monastero di Ragya, nella regione settentrionale dell’Amdo (oggi incorporata nella provincia del Qinghai) dove da alcuni giorni è stato esposta una gigantesca effige del Dalai Lama affiancata da due grandi bandiere del Tibet indipendente. E le truppe di Pechino sono rientrate nel monastero di Kirti (area sud-occidentale dello Sichuan) teatro di alcune delle recenti immolazioni.
In questo scenario tutt’altro che tranquillo si sta diffondendo anche un movimento di resistenza non violenta in stile gandhiano che predica la non collaborazione con l’occupante e la strenua difesa della tradizione tibetana. Si tratta del Lhakar Karpo, il “Mercoledì Bianco”, che iniziato con sporadiche azioni verso la fine del 2008 comincia a coinvolgere un sempre maggior numero di persone sia all’interno della Regione Autonoma del Tibet sia nelle aree tibetane delle provincie cinesi. “E’ stato scelto il mercoledì perché è il giorno in cui è nato il Dalai Lama”, ci ha detto Vicky Sevegnani responsabile del sito Internet dell’Associazione Italia-Tibet che segue da vicino lo sviluppo del Lhakar Karpo, “Anche se singole azioni di resistenza possono essere effettuate in qualsiasi giorno della settimana, ogni mercoledì un crescente numero di tibetani si impegna ad indossare l’abito tradizionale, a parlare solo la lingua tibetana, a pranzare in ristoranti tibetani e a fare acquisti esclusivamente in negozi tibetani evitando in modo particolare i mercati ortofrutticoli han”.
E’ una forma di lotta del tutto nuova per il Tibet ma che sta già ottenendo dei risultati. Ad esempio il boicottaggio dei mercati cinesi di frutta e verdura, iniziato a Nangchen, nella zona del Kham, si è ormai esteso alle vicine contee di Dzaduo, Surmang e Jyekundo tanto che sembra che alcuni esercizi commerciali cinesi siano stati costretti a chiudere. Quindi oltre alle manifestazioni, alle immolazioni, alle ribellioni, il Paese delle Nevi sta conoscendo questa forma di protesta piuttosto inusuale per il Tibet. “Il fine del movimento è duplice in quanto mira contemporaneamente all’auto preservazione e alla non-cooperazione”, sottolinea Vicky Sevegnani, “Da un lato i tibetani si battono perché la loro lingua, cultura e identità non vadano perdute; dall’altro, il rifiuto delle istituzioni e delle attività commerciali cinesi intende privilegiare la piccola economia locale arginando e contrastando il dilagare delle attività e degli affari della comunità Han”. La difesa della lingua, a forte rischio di scomparsa, è uno dei punti sui quali il Lhakar Karpo insiste di più al punto che i suoi aderenti si auto multano di uno yuan per ogni parola cinese usata nelle conversazioni.
Questa forma di resistenza passiva e di non collaborazione potrebbe rivelarsi per la Cina estremamente pericolosa e destabilizzante. Secondo quanto riportano fonti dell’esilio tibetano, che per appoggiare il movimento all’interno del Tibet hanno anche creato un sito Internet (http://lhakardiaries.com), le autorità cinesi cominciano a guardare con crescente preoccupazione il diffondersi di questo movimento le cui azioni sono più difficili da colpire e reprimere. E’ noto quanto Pechino ritenga importante, per risolvere una volta per tutte il problema del Tibet, sinizzare la regione e marginalizzare lingua, cultura e tradizioni tibetane. Consapevoli di questo gli aderenti al Lhakar Karpo moltiplicano i loro sforzi per scongiurare il pericolo, avendo ben compreso quale arma formidabile rappresenti il mantenere in vita la propria identità e le proprie radici.
Che un impetuoso vento gandhiano stia per scuotere il Tetto del Mondo?
Piero Verni
Il Riformista, 25 novembre 2011