di Paolo Solom
Corriere della Sera – 28 gennaio 201
La parola d’ordine corre di villaggio in villaggio. “Impariamo da Wokan”, gridano i contadini e residenti stufi delle “prepotenze” di costruttori e funzionari locali che – spesso in combutta – strappano loro, letteralmente, la terra sotto i piedi. Perché la Cina non si può fermare. Deve continuare a costruire, espandersi, produrre. Autostrade, ferrovie, palazzi: intorno alle megalopoli lo spazio vale oro, mentre spesso chi lo abita non vale nulla, almeno agli occhi di chi ha obiettivi “più alti”.
“Impariamo da Wokan”, ovvero il villaggio che il 15 gennaio, dopo mesi di rivolta contro espropri e mancati indennizzi, aveva ottenuto un’incredibile “vittoria”: rimozione dei responsabili cittadini del partito comunista e, addirittura, promozione a segretario del leader della sommossa, Lin Zuluan, 65 anni. Nei giorni scorsi è stata la volta di un altro piccolo centro del Sud della Cina, Wanggang, alle porte di Canton. Mille rivoltosi hanno marciato fino alla capitale provinciale per reclamare i propri diritti. “Se la Cina non cambia e non comincia ad aiutare i residenti più deboli dei villaggi – ha dichiarato spavaldo alla Reuters un trentatreenne di nome Wang – ogni villaggio si trasformerà in una nuova Wukan”.
La protesta era inscenata contro il capo del partito, Li Zihang, accusato di aver sottratto la terra ai legittimi proprietari con l’inganno. Ma è bastato ricordare il nome di Wukan perché i rappresentanti dei “mille di Wanggang” fossero immediatamente ricevuti dal vicesindaco di Canton, Xie Xiaodan, che ha subito promesso una rapida inchiesta sugli abusi denunciati. “Ci ha garantito una risposta entro il 19 febbraio”, ha spiegato ancora Wang. Tutto risolto? Macché. I disordini sono continuati, nel Fuijian, poco più a nord, lungo la costa. Anche loro con un cartello che recitava: “Impariamo da Wukan”.
Per quanto nascoste all’opinione pubblica (su Internet le pagine che parlano di Wukan, Wanggang o Xibian sono bloccate), le rivolte locali sono il fenomeno più evidente delle contraddizioni, delle ineguaglianze, dei tumulti provocati da un rapido quanto ineguale sviluppo. Soltanto nel 2011 sarebbero 90mila gli “incidenti” che hanno coinvolto comunità locali più o meno grandi. Il governo di Pechino non nasconde la preoccupazione, se è vero che il premier Wen Jiabao ha sottolineato più volte la necessità di “migliorare le condizioni di vita delle aree rurali”.
Wokan non è tuttavia percepita come l’inizio di una possibile rivolta generalizzata, almeno fino a quando il mirino dei dimostranti eviterà di guardare verso Pechino. Che per ora si limita a stringere il pugno sui dissidenti, voci molto più pericolose.
Paolo Salom
Corriere della Sera, 28 gennaio 2012