TIBET ORIENTALE: UNO STUDENTE TIBETANO UCCISO DALLA POLIZIA

Soldati_a_Ngaba3Dharamsala, 29 gennaio 2012. Si chiude oggi una settimana durissima per il Tibet dove, nell’arco di pochi giorni, almeno quattro tibetani sono stati uccisi negli scontri tra la polizia cinese e i manifestanti. Urgyen, uno studente di vent’anni, è stato ucciso venerdì 27 gennaio dalla polizia cinese a Ngaba Bharma Shang, nella prefettura di Kardze, provincia orientale del Sichuan, da un proiettile sparato sulla folla che cercava di impedire l’arresto di Tharpa, un tibetano colpevole di aver affisso dei manifesti in cui si preannunciavano nuove proteste se le autorità governative non avessero posto fine alla repressione.

Un folto gruppo di tibetani si era radunato attorno all’abitazione di Tharpa per impedirne l’arresto da parte della polizia che ha reagito aprendo il fuoco. Urgyen è rimasto ucciso e si contano numerosi feriti. A Bharma Shang la tensione è palpabile e fonti tibetane riferiscono che migliaia di tibetani stanno raggiungendo la località dalle aree adiacenti. Ricordiamo che il 23 gennaio la polizia ha sparato contro la folla a Drango uccidendo almeno un tibetano, ma si teme che il numero delle vittime sia superiore. Il giorno successivo, a Serthar, sono caduti sotto i colpi d’arma da fuoco altri due giovani.

Situazione tesa anche a Lhasa dove, il 26 gennaio, Namkha Gyaltsen, un tibetano di venticinque anni, è stato arrestato per aver distribuito volantini e gridato slogan nella piazza del Barkhor, il cuore della capitale tibetana. Nei volantini si invocava la libertà del Tibet e l’insurrezione contro il governo del paese da parte della Cina. Namkha è stato picchiato e arrestato e non si conosce dove sia detenuto. In seguito alla protesta Lhasa è sotto stretto presidio e sono aumentati i controlli in tutti i più importanti monasteri.

Si ha notizia che nel distretto di Golok Pema, in Amdo, i tibetani hanno tolto la bandiera cinese da un ufficio pubblico cinese e l’hanno data alle fiamme dopo aver issato al suo posto una fotografia del Dalai Lama. Sembra che, nella stessa regione, la polizia abbia arrestato un monaco mentre tentava di darsi fuoco.

Un nuovo 2008?

L’ondata delle manifestazioni di protesta che sta infiammando il Tibet orientale dopo i diciassette casi di auto immolazione fa temere il verificarsi di una nuova rivolta di massa come quella, repressa nel sangue, del marzo 2008. Human Rights Watch riferisce che, nell’ultimo mese, sono state sette le manifestazioni in cui sono morti dei manifestanti e chiede a Pechino “di aprire immediatamente un’inchiesta” sugli interventi armati della polizia. Chiede inoltre che la regione sia aperta agli osservatori indipendenti. Secondo International Campaign for Tibet i tibetani arrestati o scomparsi sono almeno 136. La stessa polizia cinese ha riconosciuto di aver messo in “custodia cautelare” un certo numero di tibetani ma ha ammesso la morte di solo due manifestanti.

Anche Human Rights in China, l’organizzazione internazionale cinese che si batte per le riforme e la giustizia sociale in Cina, si è dichiarata “estremamente preoccupata” per la recente ondata di proteste in Tibet e la violenza con cui sono represse. “La Cina deve comprendere i motivi che sono alla radice della protesta” – ha dichiarato Sharon Hom, direttore esecutivo di HRIC. “I tibetani vogliono la demilitarizzazione del paese e un maggior rispetto dei diritti umani fondamentali”. “È ora che le autorità cinesi agiscano in modo responsabile ed efficace per riportare la pace nella regione ed evitare ulteriori spargimenti di sangue”.

Fonti: Phayul – Human Rights Watch – ICT