di Gian Micalessi
Il Giornale – 10 giugno 2012
«Liu Xiaobo non è più un premio Nobel, ma un desaparecido. Le ultime notizie sicure su di lui le ho avute il 18 ottobre 2010 quando ho parlato per l’ultima volta al telefono con sua moglie.
Poi lei e lui sono stati cancellati dalla faccia della Terra. Il giorno dopo la moglie è stata segregata in casa, condannata agli arresti domiciliari per impedirle di raccontare la sorte di quel marito condannato a 11 anni di galera e sepolto in un carcere a 450 chilometri da Pechino».
La professoressa Tienchi Martin Liao, presidente dell’Indipendent Chinese Pen Center, un’associazione che riunisce 300 scrittori e intellettuali dissidenti dentro e fuori la Cina, è una vecchia amica del Premio Nobel Liu Xiaobo. Quando tra il 2003 al 2007, lo scrittore presiedeva il Pen lei era nel comitato di direzione. Adesso lei ne è la presidente e lui è in galera condannato a 11 anni di detenzione per aver pubblicato un manifesto sui diritti umani. Da qualche giorno la professoressa Tienchi è in Italia per una serie di conferenze in collaborazione con Laogai.it, l’associazione in prima linea nella denuncia dei campi di lavoro cinesi. Ad ogni incontro Tienchi ricorda la sorte di quell’amico cancellato dalla faccia della terra per aver difeso la libertà di pensiero e di espressione. «Liu Xiaobo ormai è un fantasma. Segregando sua moglie, circondandola di guardie hanno cancellato qualsiasi fonte diretta di notizie perché lei è l’unica autorizzata ad incontrarlo una volta al mese – spiega Tien Chi in questa intervista a il Giornale – ora per avere qualche informazione dobbiamo affidarci ai canali clandestini, ma è rischiosissimo perché mettiamo a rischio chi le procura. Il fratello forse potrà incontrarlo per la prima volta a luglio e allora magari avremo qualche novità. Per ora sappiamo solo che Liu Xiaobo si trova nel laogai di Jinzhou nella provincia di Liaoning nel nord est del Paese a 480 chilometri da Pechino».
Cos’è un laogai?
«Laogai è l’abbreviazione di laodong gaizao, significa “riforma attraverso il lavoro”. È il vecchio sistema di rieducazione attraverso il lavoro forzato imposto dal maoismo. Nei laogai lavori gratis per il governo o per delle aziende a cui il governo vende il tuo lavoro. I laogai sono più di 1400 e contano 8 milioni di detenuti, grazie a quel lavoro a basso costo la Cina produce ogni genere di prodotti dalle componenti elettroniche alle decorazioni che usate per l’albero di Natale. I momenti più duri per i prigionieri sono quelli frenetici delle consegne, quando i detenuti per rispettare i contratti assunti con l’estero sono costretti lavorare come schiavi per anche 14 ore al giorno».
Perché la Cina ha sepolto vivo un Premio Nobel?
«Perché ha paura. Liu Xiaobo ha una grande influenza sui giovani e ha una grande capacità di analisi. Ogni sua opera è una disamina dettagliata del disastro cinese. Ogni sua pagina è una denuncia della mancanza di liberta, della corruzione che attanaglia la nazione. Liu Xiaobo mette il dito sui nervi scoperti del regime, ne individua le debolezze. Gli intellettuali come lui sono la vera fobia di un regime che teme chiunque pensa con la propria testa e minaccia di diventare una guida ideale per altri cinesi».
Mario Monti è stato in Cina e vuole rafforzare i rapporti con Pechino. Il dialogo aiuta a sensibilizzare Pechino sul rispetto dei diritti umani?
«Non so a cosa punti il vostro premier. Io so che le brutali violazioni dei diritti umani perpetrate dalla Cina, la totale mancanza di democrazia sono possibili anche grazie all’assordante silenzio dei politici di tutto il mondo. Quel silenzio è un crimine perché significa accettare la logica del più forte. I leader del mondo occidentale pensano solo a far affari con la Cina. Ma questo significa accettare la logica di Pechino, diventare come loro e rischiare di subirne l’egemonia».
Senza l’economia cinese il mondo affonderebbe. Oggi sono gli unici a crescere.
«Sicuri? L’economia cinese si basa sul cheap labour, il lavoro a poco prezzo, ma il cheap labour ha bisogno di braccia giovani e di un costante ricambio.
La politica che impone ad ogni famiglia di non mettere al mondo più di un figlio sta trasformando la Cina in un Paese di vecchi. Nonostante la popolazione superi il miliardo e 300 milioni i giovani sono una minoranza e senza giovani l’economia non va avanti. Per questo la Cina rischia la paralisi. Tra qualche anno il lavoro a buon prezzo sarà un miraggio e il Paese rischierà la disintegrazione sociale».
Per ora il regime sembra tenere…
«Ogni anno si contano circa 80mila rivolte. Certo le sopprimono subito, la censura impedisce che le notizie oltrepassino i confini, ma è solo una questione di tempo. Il regime mobilita al massimo centomila uomini delle forze di sicurezza per volta. La prima rivolta che oltrepasserà la soglia dei cinquantamila manifestanti e non sarà immediatamente contenibile dilagherà come un fiume in piena. Credetemi, la Cina è un vulcano ed è pronto ad esplodere».
Gian Micalessi
Il Giornale – 10 giugno 2012