di Carlo Buldrini
Notizie Radicali – 24.08.2012
Last night I had a dream. C’era una grande agitazione tra i tibetani, in Tibet e fuori del paese. Il Kalon Tripa doveva fare un annuncio importante. Rimasi sorpreso. Il primo ministro non sembrava più quello descritto pochi giorni prima dal settimanale L’Espresso: “Alto, atletico, bello come un Gregory Peck”. Il Kalon Tripa appariva adesso basso di statura, sdentato e con le orecchie a sventola. Davanti a sé aveva decine e decine di microfoni delle principali emittenti radiotelevisive del mondo.
Era incredibile: non conoscevo la lingua tibetana, eppure riuscivo a capire tutto quello che il Kalon Tripa diceva. Si rischiarò la voce. Poi cominciò a parlare: “Crediamo che il popolo tibetano, così come ogni altro popolo del mondo, abbia il diritto di essere libero e di godere dei frutti del proprio lavoro. Il governo cinese del Tibet ha privato il popolo tibetano della sua libertà. Si fonda sullo sfruttamento della popolazione. Ha rovinato il paese dal punto di vista economico, politico, culturale e spirituale. Crediamo perciò che il Tibet debba rescindere ogni legame con la Repubblica popolare cinese e riconquistare la completa indipendenza”.
Ci fu poi l’annuncio tanto atteso. Il Kalon Tripa proclamò un “hartal”, uno sciopero generale in tutto il Tibet (“Nelle nostre province dell’U-tsang, del Kham e dell’Amdo”, precisò) per il giorno 11 gennaio 2013. “Nessun cinese e nessuna loro proprietà dovranno essere toccati”, disse. E aggiunse quella che per i tibetani era la cosa più importante: “Lo sciopero generale ha la benedizione di Sua Santità il Dalai Lama”.
Nel mio sogno ci fu un fast-forward. Vidi il giorno dello sciopero. Migliaia di tibetani sedevano a terra, sull’asfalto delle principali strade dei centri abitati di tutto il Tibet. La vita nel paese era completamente paralizzata. Gli uomini della Polizia del popolo armata, in tenuta anti-sommossa, fronteggiavano i manifestanti. Apparivano perplessi. I loro furgoni erano ridicolmente insufficienti per poter portare in carcere tutte quelle persone. Sparare avrebbe significato centinaia di piazze Tian An Men: il mondo intero sarebbe stato costretto a interrompere le proprie relazioni economiche e commerciali con la Cina. I poliziotti cinesi restarono immobili. Per ore. Sembravano le statue trovate all’interno delle tombe della dinastia Ming.
A sera i tibetani tornarono nelle loro case. Per la prima volta, dopo 63 anni, si sentivano felici. Molti non riuscivano a spiegarsi perché. In fondo, non era successo niente.
Carlo Buldrini
Notizie Radicali, 24 agosto 2012