Dharamsala, 10 settembre 2012. Nel timore che le proteste possano estendersi alla capitale tibetana, agli abitanti delle regioni tibetane dell’Amdo e del Kham è stato vietato l’ingresso a Lhasa. Ne ha dato notizia un recente comunicato di Radio Free Asia. L’emittente ha inoltre reso noto che le autorità cinesi hanno emanato precise disposizioni che consentono l’espulsione di tutti coloro che, originari di altre parti del Tibet, non sono registrati come residenti in città.
Secondo una fonte di RFA “Le autorità cinesi e la polizia tengono sotto stretta sorveglianza soprattutto i tibetani – in particolare i monaci e i giovani – della regione dell’Amdo”. “Li vedono some spine negli occhi”, specifica l’informatore. Per entrare nella capitale è necessario esibire il permesso di soggiorno o un documento che attesti l’estraneità del viaggiatore ad ogni attività politica, comprese le dimostrazioni.
Nel frattempo, la Cina – con una mossa ritenuta propagandistica – ha reso noto che, a breve, sarà aperto nella cosiddetta Regione Autonoma Tibetana un ufficio incaricato di “assistere e servire” i tibetani residenti all’estero che volessero fare rientro in patria.
Proseguono nel Tibet orientale gli atti di dissenso e resistenza civile. La notte del 7 settembre la bandiera cinese è stata ammainata dal tetto di una scuola (nella foto) nella città di Bonpo (Kham) e sostituita con la bandiera tibetana. Sui muri dell’edificio sono stati appesi numerosi volantini scritti a mano recanti la dicitura “Tibet Libero”.
Il 5 settembre, Soyak, una donna tibetana di quarant’anni è stata arrestata per aver spronato i suoi connazionali ad aderire al movimento Lhakar, la silenziosa forma di protesta civile che vede i tibetani impegnati, ogni mercoledì (giorno della ricorrenza della nascita di Sua Santità il Dalai Lama e per questo motivo ritenuto di buon auspicio), ad indossare gli abiti tradizionali, a parlare esclusivamente la loro lingua, a mangiare solo cibo tibetano (e in ristoranti tibetani) e a fare acquisti in negozi di proprietà dei loro connazionali. Soyak, da sempre attiva nella lotta per la causa del suo popolo, è stata arrestata a Yushu, una cittadina dell’omonima prefettura autonoma (Kham) epicentro nell’aprile del 2010 del disastroso terremoto che ha devastato la regione.
Fonti: The Tibet Post International – Phayul