30 settembre 2012. Radio Free Asia ha dato notizia di un nuovo caso di auto immolazione avvenuto nella giornata di ieri, 29 settembre, nella contea di Dzatoe, Prefettura autonoma tibetana di Yushul (Amdo). Riferisce l’emittente che un tibetano, vestito in abiti tradizionali, si è dato fuoco in segno di protesta contro l’occupazione cinese.
Sono al momento ignote le generalità del nuovo martire tibetano. Avvolto dalle fiamme, ha chiesto gridando l’indipendenza del Tibet e il ritorno del Dalai Lama e del Karmapa. Secondo una fonte, per ora anonima, si è rivolto a Lobsang Sangay, capo politico del governo tibetano in esilio, chiamandolo con l’appellativo di “Re del Tibet”.
Testimoni oculari hanno riferito che l’uomo, con il corpo in fiamme, si è mosso camminando di fronte ad alcuni negozi: i negozianti hanno cercato di spegnere le fiamme gettando invano dell’acqua sul tibetano. La polizia cinese ha subito portato via il martoriato corpo.
Radio Free Asia riferisce che, secondo una fonte all’interno del Tibet, questa nuova auto immolazione, la cinquantaduesima all’interno del paese, potrebbe essere collegata alle recenti proteste della popolazione locale che, qualche giorno fa, è stata costretta dalle autorità cinesi ad assistere alla proiezione di un filmato che rappresentava la “felicità dei tibetani” sotto l’occupazione. “I tibetani erano indignati e non volevano prendere parte allo spettacolo”, ha dichiarato la fonte. Ne è scaturita una protesta alla quale è seguita l’immolazione.
Questo nuovo episodio – riporta Radio Free Asia – è avvento il giorno dopo la chiusura della Speciale Assemblea del popolo tibetano che ha visto oltre 400 delegati provenienti da 26 paesi riuniti a Dharamsala. In uno dei 31 articoli della risoluzione conclusiva i delegati chiedono ai tibetani all’interno del Tibet di “preservare le loro vite” e di non ricorrere ad “atti estremi”.
Nel suo discorso di chiusura, il Sikyong (capo politico) Lobsang Sangay ha invitato i tibetani a mettere da parte ogni differenza di vedute e a mostrarsi uniti e solidali sia con i fratelli e le sorelle all’interno del Tibet sia nel condannare il governo cinese, unico responsabile della tragica situazione all’interno del Paese. Il Sikyong ha inoltre espresso la speranza che la comunità internazionale intervenga sul governo di Pechino affinché il problema del Tibet sia affrontato e risolto attraverso il dialogo, in accordo con le risoluzioni adottate dal Parlamento in Esilio e il desiderio del Dalai Lama.
Fonti: RFA’s Tibetan service – Phayul