Dharamsala, 4 novembre 2012. Alcune immagini arrivate da Rebkong, nella regione dell’Amdo mostrano il corpo carbonizzato di un altro tibetano, il sessantatreesimo a darsi fuoco in segno di protesta contro l’occupazione del Tibet. In una fotografia giunta alla redazione del sito di informazione Phayul, si vede il corpo del nuovo eroe tibetano giacere ai piedi di un ritratto del Dalai Lama nelle vicinanze di un monastero, avvolto nelle kata e circondato da monaci e laici (nelle foto). Fonti in esilio riferiscono che il tibetano, di cui al momento non si conosce il nome, è deceduto sul luogo della protesta.
Lo scorso 17 marzo 2012, un agricoltore di 43 anni, Sonam Dhargye, si era immolato con il fuoco nella stessa località, teatro solo pochi giorni prima, il 14 marzo, dell’immolazione di Jamyang Palden, un monaco di trentaquattro anni. Sonam Dhargye era deceduto all’istante. Il giorno prima aveva lasciato il suo villaggio e aveva passato la notte in una locanda in città. La mattina seguente, dopo aver pregato di fronte a una fotografia del Dalai Lama e purificato il suo corpo con un bagno, Sonam aveva bevuto della benzina e si era dato alle fiamme invocando il ritorno dall’esilio del leader spirituale tibetano. In segno di solidarietà, migliaia di tibetani erano confluiti da tutta la città e dai villaggi vicini nel piazzale antistante al monastero di Rongwo, piazza Dolma. Un testimone oculare aveva riferito al gruppo londinese Free Tibet che a Rongwo non si era mai vista una folla così numerosa: 6000 persone, forse 8000, di cui almeno 600 venute dal villaggio natale di Sonam Dhargey, avevano voluto rendere omaggio al nuovo eroe. I reparti della Polizia Armata Paramilitare, arrivati nel piazzale su numerosi mezzi, avevano preferito tenersi in disparte.
Il 2 novembre, a Ginevra, l’Alto Commissario ONU per i Diritti Umani, Navi Pillay, ha chiesto alla Cina di “dare ascolto alle proteste da lungo tempo espresse dai tibetani, proteste che sfociano in atti disperati, incluse le auto immolazioni”. La signora Pillay ha dichiarato di sentirsi turbata nell’apprendere che la Cina ricorre sistematicamente all’uso della violenza ogni qual volta i tibetani tentano di esercitare i loro diritti fondamentali e ha chiesto a Pechino di consentire a delegazioni indipendenti di recarsi in Tibet per verificare la situazione e di permettere ai mezzi di informazione il libero accesso al paese.
“Ho avuto alcuni scambi di vedute con il governo cinese su questi argomenti” – ha reso noto Navi Pillay – ma molto deve essere ancora fatto per proteggere i diritti dei tibetani ed evitare che siano violati”. “Chiedo al governo cinese di rispettare il diritto di espressione e di pacifica protesta dei tibetani e di liberare tutti coloro che sono stati arrestati per avere esercitato questi diritti universalmente riconosciuti”. L’Alto Commissario ha inoltre fatto appello ai tibetani affinché non ricorrano alle auto immolazioni come forma estrema di protesta. “Sono consapevole del loro forte senso di frustrazione” – ha dichiarato – “ma vi sono altri modi per manifestarlo, lo stesso governo cinese deve prenderne atto e permettere ai tibetani di dare voce ai loro sentimenti senza paura di ritorsioni”.
Il 3 novembre, a Dharamsala, l’Amministrazione Centrale Tibetana ha chiesto ai 47 stati membri del Consiglio ONU per i Diritti Umani di indire una speciale sessione di lavoro sul Tibet alla luce del continuo deterioramento della situazione all’interno del paese e dell’inarrestabile ondata di auto immolazioni.
Fonti: Phayul – ITN