11 novembre 2012. Sabato 10 novembre un ragazzo di diciotto anni si è dato la morte con il fuoco in Tibet: il settimo caso in una settimana, il settantesimo dal 2009, anno d’inizio di queste estreme forme di protesta all’interno del paese occupato. Il nuovo eroe tibetano, Gonpo Tsering, si è dato fuoco attorno alle 14.00 (ora locale) nella città di Tsoe, nella regione di Kanlho. A causa del blocco delle comunicazioni o della loro possibile intercettazione, la notizia di questa nuova immolazione non è stata fornita da fonti tibetane in esilio ma dalla stessa agenzia di stato cinese Xinhua.
Di fronte al dilagare di questi estremi e drammatici atti di protesta nello sconcertante silenzio delle istituzioni, dei governi e della stampa, l’Associazione Italia-Tibet ha diramato il seguente comunicato:
Comunicato stampa
Da giorni a Rongwo, nel Tibet Orientale, le strade sono invase da migliaia di manifestanti tibetani che, sfidando la repressione della polizia cinese, espongono i ritratti del Dalai Lama e chiedono a gran voce la libertà (rangwang) e l’indipendenza (rangzen) per il proprio Paese. Queste manifestazioni avvengono negli stessi giorni in cui, a Pechino, si celebra il XVIII Congresso nazionale del Partito comunista cinese.
In Tibet, in soli due giorni – il 7 e l’8 novembre – si sono bruciate vive sei persone: tre a Ngaba, due a Rebkong e una a Driru. L’ultimo a uccidersi con il fuoco è stato Kalsang Jinpa, un giovane nomade di 18 anni. Prima di lui si era bruciata viva Tamdin Tso, una nomade ventitreenne madre di un bambino di cinque anni.
Sono ormai 70 i tibetani che si sono dati fuoco per protestare contro il regime cinese che, da 62 anni, opprime il popolo tibetano. Non si era mai verificato, nella storia del mondo, che l’esasperazione e la volontà di lotta di un popolo oppresso si esprimesse in una maniera così drammatica, eroica e, nello steso tempo, nonviolenta.
Il governo della Repubblica popolare cinese, come sempre, ha risposto con arresti indiscriminati e torture. Il regime cinese è arrivato al punto di impedire la vendita del cherosene in tutto il Tibet e di fornire ai poliziotti rampini ed estintori per permettere loro di intervenire nel caso di tentativi di autoimmolazione.
L’Associazione Italia-Tibet denuncia con forza e con sdegno il complice e assordante silenzio dei governi occidentali e della stampa cosiddetta “libera”, entrambi sempre più proni nei confronti dell’arrogante nomenclatura cinese, da sempre insensibile e chiusa a qualsiasi tentativo di risoluzione del grave problema tibetano.
L’Associazione Italia-Tibet chiede ai nostri governanti, alle nostre istituzioni, agli organi di stampa, alle associazioni per i diritti umani, ai sindacati e a tutta la società civile di non lasciare solo il Tibet in questo drammatico momento.
Chiede a tutti di mandare un messaggio di forte denuncia e di accusa ai vecchi e ai nuovi dirigenti comunisti cinesi perché sappiano che i loro rapporti economici, politici e umani risultano essere incompatibili con il resto del mondo civile se continuerà la feroce repressione in atto in Tibet contro ogni forma di libertà.
Associazione Italia-Tibet
9 novembre 2012
In segno di solidarietà e protesta contro la repressione cinese, la sera del giorno 8 novembre e la mattina del giorno successivo oltre 5.000 tibetani (10.000 secondo notizie pervenute a Tibet Post International) monaci e laici, uomini e donne, compresi moltissimi studenti e nomadi, hanno marciato lungo la strada principale di Rongwo radunandosi in piazza Dolma, di fronte al monastero. Invocavano uguali diritti per i tibetani, il diritto a preservare la propria lingua, libertà per il Tibet, unità tra i tibetani e il ritorno del Dalai Lama.
La protesta degli studenti e di tutta la popolazione nel servizio di Voice of America, in lingua tibetana, al sito:
http://www.facebook.com/photo.php?v=516964404982072
Mentre il Tibet continua a bruciare e i tibetani, a migliaia, gridano la loro protesta, a Pechino, dove è in corso il XIII Congresso del Partito Comunista, il Paese delle Nevi continua ad essere dipinto come un luogo felice e prospero. Che Dalha, Segretario del Partito a Lhasa, parlando con i giornalisti a margine del Congresso, ha tra l’altro così dichiarato:
“Lhasa è una città felice, non permetteremo a nessuno di immolarsi con il fuoco o creare disordini anche se per vari motivi e con l’aiuto di forze straniere alcune persone venute da altre regioni hanno cercato di darsi fuoco a Lhasa”. “In tutto il mondo moltissime persone si suicidano per i motivi più disparati, ma pochi sono i casi registrati all’interno della Regione Autonoma”.
Rispondendo alle domande dei giornalisti, Lobsang Gyaltsen, vice presidente della Regione Autonoma Tibetana, leggendo da appunto scritto la risposta che si era preparata, ha detto: “Ritengo che la gente si auto immoli per diversi motivi, in alcuni casi per ragioni personali ma in molti altri le immolazioni sono volute e pianificate da gruppi di separatisti residenti all’estero”. “Li chiamano ‘atti eroici’ e designano con l’appellativo di ‘eroi’ chi li compie, magnificando e sostenendo simili comportamenti”. “La Cina li considera atti criminali ma fuori dal Tibet le forze separatiste e la cricca del Dalai Lama sacrificano la vita degli altri per il proprio tornaconto politico”.