Dharamsala, 29 novembre 2012. Kalsang Kyab, Sangay Tashi, Wande Khan, Tsering Tashi: sono i nomi dei quattro nuovi martiri che si sono dati la morte con il fuoco nell’arco degli ultimi tre giorni. Sono in questo momento ottantanove i tibetani che hanno dato la loro vita per la libertà del Tibet. Ventisette casi in venticinque giorni e tutto lascia intuire che l’elenco è destinato ad allungarsi perché la protesta, lungi dal recedere o dall’esaurirsi, sembra crescere di giorno in giorno.
Kalsang Kyab, 24 anni, si è dato fuoco il 27 novembre di fronte a un edificio governativo nella città di Kangtsa. Ha cosparso il suo corpo di cherosene e si è avviato verso gli uffici del governo inneggiando alla lunga vita del Dalai Lama e chiedendo il ritorno di Kirti Rinpoche, il capo del monastero di Kirti in esilio. Poi si è dato fuoco. Nomade, ha lasciato i pascoli in cui viveva, ha reso visita al villaggio natale, a soli tre chilometri da Kangtsa, ed è arrivato la mattina presto in città. Ha compiuto il suo atto estremo attorno alle 18.00, ora locale.
Sangay Tashi, 18 anni, si è dato fuoco attorno alla mezzanotte del 27 novembre a Sangkhong. Era originario della regione di Sangchu. E’ morto gridando slogan a favore del ritorno del Dalai Lama e della liberazione di tutti i prigionieri politici, compreso il Panchen Lama. Prima di darsi alle fiamme ha telefonato ai suoi famigliari informandoli della sua decisione di morire per la causa del Tibet.
Wande Khar, 21 anni, si è dato la morte con il fuoco il 28 novembre a Tsoe (regione di Kanlho), attorno alle 19.00, ora locale. Prima di morire ha chiesto il ritorno del Dalai Lama in Tibet, il rilascio del Panche Lama, la libertà del Tibet e la protezione del suo ambiente naturale. Sfidando i divieti e le ritorsioni cinesi, i monaci del vicino monastero si sono recati al villaggio di Wande Khar, non distante da Tsoe, per pregare e rendere tributo al nuovo eroe.
Tsering Tashi, 31 anni, padre di due figli, si è dato la morte oggi, 29 novembre, a Luchu, nelle vicinanze di un ufficio governativo. Non sono pervenuti, al momento, atri particolari sulle circostanze del suo atto. La Contea di Luchu ha visto la morte di Gonpo Tsering (26 novenbre) e di Tamding Kyab (22 novembre). In seguito alle tre auto immolazioni, Luchu è sotto strettissimo controllo ed è presidiata da un gran numero si addetti alla sicurezza e personale militare.
Si è appreso che Sangay Dolma, la monaca diciassettenne immolatasi il 25 novembre di fronte a un ufficio governativo a Tsekhog, vicino a Rebkong, prima di darsi la morte ha lasciato un messaggio e una sua fotografia. Sulla fotografia ha scritto: “Il Tibet è una nazione indipendente”. Il testamento della giovanissima monaca, scritto in forma di poesia e intitolato “E’ritornato”(con riferimento al Dalai Lama), recita tra l’altro: “Amati figli del paese del leone delle nevi, non dimenticate che siete tibetani”. “Guardate in alto, alle montagne innevate, l’era della terra delle nevi è iniziata e il Tibet è libero e indipendente”. Sangay Dolma rende quindi omaggio al Dalai Lama e al Panchen Lama: “Sua Santità il Dalai Lama, che vive lontano, viaggia in tutto il mondo pregando perché cessi la sofferenza delle rosse facce dei tibetani e perché siano liberati dal buio”. “Il Panchen Lama, dalla prigione in cui è detenuto, prega per la pace e la felicità della mia terra delle nevi”.
In aperta sfida agli ordini emanati dalle autorità cinesi, 500 tibetani della regione di Tsolho hanno esposto pubblicamente una fotografia del Dalai Lama e partecipato a una preghiera collettiva per la lunga vita del Dalai Lama e per tutti i tibetani che si sono immolati. Almeno sessanta tibetani hanno iniziato, la sera del 26 novembre, in varie località del Tibet, uno sciopero della fame in segno di solidarietà con coloro che si sono auto immolati. Fonti tibetane riferiscono che lo sciopero della fame è in atto in varie città: dalla capitale, Lhasa, a Drango, Jomda, Zachukha, Tridu, Sertha, Siling, Rebkong, Kardze e Trindu. Alla manifestazione di protesta partecipano persone di varia estrazione sociale inclusi funzionari governativi, scrittori, monaci e uomini d’affari.
Fonte: Phayul